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Pantani, la morte sospetta del poliziotto che minacciò un parente «Disse “smetti o farai la sua fine”»

di Alessandro Fulloni

Il nipote di mamma Tonina in audizione: «Fu mandato da qualcuno a casa

mia per dirmi: “Finitela perché avete rotto le p…”». Due anni dopo l’agente dell’Antidroga di Rimini perse la vita in un incidente in motocicletta senza testimoni

«La morte di Marco Pantani? Chiedevo in giro delle informazioni che potessero essere utili… ero sempre in giro in macchina a chiedere a tutti. A Rimini indagavo molto in quel periodo. Quel poliziotto? Un giorno di primavera, prima che aprissimo l’albergo, c’era anche mia moglie, viene a casa mia e ci dice: “Smettete di indagare perché avete rotto le p…” . Testuali parole: “Fate la fine di Marco. Dì a tua zia che fate tutti la fine di Marco”». È puntuale e dettagliata, la relazione della Commissione parlamentare Antimafia su Marco Pantani, trovato morto il giorno di San Valentino, nel 2004.

Nelle 48 pagine dell’inchiesta coordinata dall’ex senatore M5S Giovanni Endrici compaiono anche testimonianze inedite, tra cui quella di Maurizio O., marito di una nipote di mamma Tonina, ascoltato il 18 novembre 2020. L’uomo, che all’epoca era un ultrà del Cesena calcio, racconta che anche in questo «mondo ci eravamo coalizzati chiedendo agli spacciatori che lo frequentavano di non dargli la droga. Quel mondo aveva risposto molto bene. Non solo molti della zona non gli davano la droga ma gli volevano molto bene, lo proteggevano. Ma avendo molta disponibilità di soldi, Marco ci scavalcava rivolgendosi a soggetti esterni e per questo ha incontrato Miradossa — lo spacciatore poi assolto in Cassazione, ndr — e altri».

Il pomeriggio di quel 14 febbraio Maurizio viene allertato da un suo amico poliziotto, Giuseppe T., che morirà due anni dopo — «morte sospetta», preciserà il nipote di Tonina in commissione — in un incidente in moto. L’agente — in servizio all’antidroga della questura di Rimini — gli dice che a Marco è successo qualcosa di grave, «senza specificare altro». Il familiare del campione corre al residence “le Rose” dove il Pirata fu trovato morto. Qui «gli viene impedito di salire nella stanza» occupata da Marco e lui allora, «accortosi di un secondo accesso», riesce a salire lo stesso «senza incontrare ostacoli». «La porta era leggermente aperta — è il resoconto della relazione — e l’accesso alla camera era interdetto con il nastro tipico utilizzato dalle forze dell’ordine, posto in diagonale».

Sporgendosi all’interno senza entrare, aveva visto il bagno al piano inferiore dell’appartamento. «Nel visionare la documentazione fotografica mostratagli nel corso dell’audizione», l’uomo «ha affermato con sicurezza che la scena da lui vista non corrispondeva a quella rappresentata nelle fotografie. In particolare, nel guardare una foto, ha chiarito: “Questo è il bagno ma non era così quando l’ho visto io », precisando che lo specchio rotto «si trovava appoggiato alla parete posta a destra dell’ingresso del bagno, in una posizione diversa da quella rappresentata nelle fotografie».

L’uomo ha poi affermato di non essere mai stato sentito, sino al giorno dell’audizione, dagli inquirenti e di non aver ritenuto di presentarsi spontaneamente per riferire quanto a sua conoscenza anche perché, avendo cercato di indagare sulla morte del cugino, era stato destinatario di minacce riportategli dall’agente. Appunto: «Comincio a indagare come pian piano farà poi la sua mamma. E il poliziotto, un giorno di primavera, prima che aprissimo l’albergo viene a casa mia e ci dice: “Smettete di indagare perché avete rotto le palle”». Testuali parole: «“Fate la fine di Marco. Dì a tua zia che fate tutti la fine di Marco”».

Il familiare del Pirata e l’agente dell’antidroga si conoscevano da tempo, erano amici,e l’investigatore «gli aveva detto di essere stato mandato a riferirgli quelle minacce, senza precisare da chi provenissero». Addirittura «per un breve periodo si era mostrato arrabbiato» nei suoi confronti «quasi per dirgli che lo stava mettendo nei guai ».

Ma dell’incidente al poliziotto cosa si sa? L’Antimafia non ha effettuato approfondimenti. L’agente, che aveva 35 anni e che oltre a sapere della tossicodipendenza del ciclista «conosceva le dinamiche e gli equilibri sul territorio relativi al traffico e allo spaccio di sostanze stupefacenti», fu trovato di notte privo di vita dopo una rotonda sulla via Emilia, non lontano da casa. Le cronache cittadine raccontano che , forse «per l’asfalto reso viscido dalla pioggia», in quella notte tra l’11 e il 12 luglio 2006 perse il controllo della sua Harley Davidson, schiantadosi. Nient’altro.

Con quella di Marco, quella del poliziotto sarebbe la terza morte «sospetta» in questa vicenda che ha scosso l’Italia. L’altra è quella di Wim Jeremiasse, commissario Uci e istituzione al Tour, alla Vuelta e alla corsa rosa, responsabile del prelievo ematico condotto su Pantani prima della tappa di Madonna di Campiglio in cui venne fermato. «Oggi il ciclismo è morto» disse in lacrime poche ore dopo il test, la mattina del 5 giugno 1999. Impossibile che il commissario Uci potesse spiegare altro: sei mesi dopo morì – «in circostanze non proprio chiare», scrissero i carabinieri dei Nas – in un incidente in Austria. Dov’era andato per fare da giudice in una gara di pattinatori su ghiaccio. Sprofondò con l’auto in un lago ghiacciato, il Weissensee, su cui stava spostandosi alla testa di un piccolo corteo di macchine. La sua auto giù per 35 metri nell’acqua gelida, inghiottita dal cedimento improvviso della superficie: Wim venne trovato cadavere dai sommozzatori che lo recuperarono circa un’ora dopo. La donna che era con lui, Rommy van der Wal, sopravvisse miracolosamente dopo avere cercato invano di estrarlo dall’abitacolo.

8 dicembre 2022 (modifica il 8 dicembre 2022 | 20:00)

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