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L’anniversario della strage, Piazza Fontana la strana inchiesta da Mister X a Valpreda

La storia giudiziaria di piazza Fontana si è chiusa nove anni fa. Ma un’inchiesta parallela e ufficiosa è andata avanti almeno fino al 2020 e Repubblica è in grado di documentarla. Ha avuto come motore il colonnello del Ros Massimo Giraudo, e come regia la procura di Brescia. Ha mischiato anarchici e fascisti, Valpreda e “Mister X”, Merlino e un elettrauto, il “Paracadutista” e “l’Antiquario”, fino a un magistrato in pensione. Sta nelle carte dell’ultima indagine sulla bomba di piazza della Loggia del 1974, conclusa con la richiesta di rinvio a giudizio per Marco Toffaloni e Roberto Zorzi.

I giorni del terrore e del dolore: piazza Fontana, dalla strage ai funerali di Stato in Duomo

Il 12 dicembre 1969, alle 16.37, la storia d’Italia precipita nel suo pozzo nero: è l’ora della strage di piazza Fontana, della bomba che uccide 17 persone e apre quella che poi verrà definita la strategia della tensione. Nelle foto d’archivio ripercorriamo a cinquant’anni da quel giorno quanto avvenne in quei giorni: dai primi sopralluoghi dopo la bomba, con l’atrio della Banca nazionale dell’agricoltura trasformata in uno scenario di guerra, ai funerali di Stato in Duomo, con migliaia di milanesi in una piazza fredda e coperta di nebbia, e le istituzioni in chiesa, fino ai funerali dell’anarchico Giuseppe, Pino, Pinelli, considerato la 18esima vittima di piazza Fontana.

Origine e bocciatura

L’antefatto è del 15 luglio 2009: la comunicazione di notizia di reato informativa in 22 pagine che Giraudo, dopo aver letto il controverso libro di Paolo Cucchiarelli (Il segreto di piazza Fontana, quello della tesi della “doppia bomba”) inviò al pm milanese Massimo Meroni. Prospettava l’ipotesi che l’anarchico Pietro Valpreda — il primo “mostro” della vicenda, incastrato dalle questure di Roma e Milano e assolto solo nel 1987 — avesse davvero messo una bomba a basso potenziale nella banca (poi “raddoppiata” dai neonazisti), e che l’esplosivo di piazza Fontana fosse lo stesso utilizzato poi a Brescia, come testimoniato da un anonimo “Mister X” a Cucchiarelli. La risposta del procuratore aggiunto Armando Spataro fu durissima, inibiva il colonnello a proseguire senza deleghe ma il fascicolo, su istanza dei parenti delle vittime, fu comunque aperto. Si riempì di vaghe testimonianze degli ex ordinovisti Giampaolo Stimamiglio e Gianni Casalini, delle allusioni del “barone nero” Tomaso Staiti di Cuddia a un abbaino nei pressi della Scala (presunta base degli artificieri della strage), e dei deliri del mitomane Alfredo Virgillito. Cucchiarelli, convocato dai magistrati, si rifiutò di rivelare “Mister X” e finì indagato. La richiesta di archiviazione, firmata il 24 aprile 2012 da Spataro e dal pm Grazia Pradella, bocciò senza appello i nuovi spunti e l’ufficiale del Ros che li aveva proposti. Giraudo, però, continuò a godere della fiducia dei pm bresciani e proseguì nelle indagini su piazza della Loggia.

Da Verona a Valpreda

Interrogando l’ex ordinovista veronese Claudio Lodi, il 13 dicembre 2012, il colonnello riprese il filo. Lodi avvalorava un presunto (e mai riscontrato dai fatti) passato ordinovista di Pietro Valpreda, un suo ruolo da finto anarchico e da operativo nella trama stragista. Ombre che si riallacciavano a una vecchia traccia: nel 1971 la testimone Adriana Zanardi gettò sospetti sull’ex fidanzato dell’epoca, il parà nero (e figlio di direttore di banca) Claudio Bizzari, privo di alibi il 12 dicembre 1969 e allusivo sulle responsabilità di Valpreda. A Bizzari come esecutore materiale di piazza Fontana aveva pure accennato il pentito Carlo Digilio nel 1994.

La conclusione di Giraudo finì in due informative dell’8 gennaio e 8 aprile 2013: recuperavano alcune teorie formulate dall’ergastolano Vincenzo Vinciguerra e saldavano Valpreda al filo delle trame nere, insieme al paracadutista Bizzari e agli ordinovisti duri e puri veronesi. Il materiale venne trasmesso da Brescia a Milano, stavolta senza risposta. Così come le ricostruzioni che attribuivano un ruolo da tecnico degli ordigni di piazza Fontana a Ugo Cavicchioni, chiacchierato elettrauto di Rovigo in contatto con Franco Freda (il suo nome compariva nelle agende del legale padovano). Fecero il percorso inverso, in direzione di Brescia, i colloqui tra il giudice Guido Salvini e il detenuto Cristiano Rosati Piancastelli, ex sanbabilino, antiquario, nipote di un collaboratore di Tom Ponzi. Spiegò che in piazza Fontana c’erano telecamere nascoste, piazzate dal superdetective privato, a riprendere tutto. Le bobine andavano cercate in chissà quale baule. Il 30 settembre 2013 il decreto di archiviazione firmato dal gip Fabrizio D’Arcangelo, e il suo giudizio sulla “radicale infondatezza della notizia criminis”, mise un freno a spunti e illazioni.

Ripresa e “Mister X”, finalmente

Alla fine del 2018, il colonnello Giraudo tornò a cercare la gola profonda delle due stragi. Tra colloqui e analisi di tabulati telefonici, la trovò: Giancarlo Cartocci, ex ordinovista romano diventato addetto stampa in Parlamento con Pino Rauti, e già lambito tra il ’69 e il ’72 dai sospetti di aver partecipato gli attentati romani (quelli senza vittime) del 12 dicembre. Cartocci — ormai vecchio e malato — venne intercettato e interrogato otto volte. Qualcosa ammise, molto negò, soprattutto le sue conoscenze sugli esplosivi e gli autori delle stragi, su doppie bombe e partecipazione degli anarchici. Né aggiunse dettagli l’interrogatorio del 6 giugno 2019 a Mario Merlino, amico di Cartocci, l’infiltrato nero nel circolo anarchico di Pietro Valpreda, anch’egli uscito indenne dai processi. Ma l’escursione bresciana sui misteri della Banca dell’Agricoltura non finì lì.

L’ultimo filone seguito dal colonnello Giraudo ha preso spunto da La maledizione di piazza Fontana, il memoir del giudice Guido Salvini. Dopo la morte del “Paracadutista” Bizzari, indicato come il depositore della borsa omicida, l’ufficiale interrogò (era il 19 dicembre 2019) la vedova Manuela Olivieri, che però nulla sapeva. La maratona investigativa è terminata (per il momento) il 27 febbraio 2020 a Vicenza davanti all’ex magistrato Giovanni Biondo. Che negli anni Settanta fuggì in Spagna per evitare di essere processato come complice di Freda e Ventura. Salvini aveva raccontato di un colloquio particolarmente imbarazzante per l’ex collega, sull’orlo della confessione di cose indicibili. A verbale, però Biondo non confermò nulla. Nemmeno un briciolo di mistero.

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