di Giusi Fasano
Un giorno in Italia tra vendette, scommesse, bullismo omofobico che colpisce gli adolescenti. Il racconto di una madre: «Mia figlia, 12 anni, non faceva che piangere»
Il commento più gettonato è sempre quello: «Sei una tr…». Eccerto. Se ti hanno filmato mentre ballavi stretta stretta a quel tipo è evidente che «sei una tr…». Se fossi stata una ragazza seria non saresti andata in discoteca senza il fidanzato e, soprattutto, non avresti baciato quello lì. Ed è inutile piagnucolare, adesso, se il tuo ragazzo si vendica… È fastidiosa anche soltanto scriverla, una cosa del genere. Eppure non stiamo parlando di una storia e di commenti inventati. È tutto tragicamente vero.
Basta un clic
Siamo in una piccola città del Sud. Lei, 18 anni, «osa» baciare un altro e le immagini di quei baci, ripresi dall’immancabile telefonino, arrivano in tempo reale al fidanzato, fanno il giro degli amici, raggiungono la famiglia. Lui la lascia, la madre della ragazza si arrabbia, si schiera dalla parte di lui. Che vuole vendetta e cerca nella memoria del suo cellulare fotografie e video di lei a sfondo sessuale. Quindi altro giro, altra corsa. Indovinate che fa il ragazzo? Ovvio. Mette in circolo tutto quel che ha sul telefonino. Un clic ed ecco a voi tutti «le prove d’amore», come le chiamava ogni volta che la convinceva a piazzarsi davanti all’obiettivo. A questo punto la vita della ragazza, però, cambia completamente faccia. Già la storia del bacio era troppo. Figuriamoci i filmati… Le amiche (che poi: amiche è una parola grossa) fanno commenti sulle chat, sui social. A scuola, in giro per le strade, le sembra che tutti sappiano, che tutti malignino, che tutti abbiano per lei una sola parola: «tr…», appunto. La situazione diventa insostenibile, le relazioni azzerate, la vita distrutta. Inutile descrivere la vergogna, la depressione, l’isolamento, la sensazione amara di essere stata tradita dalle amiche… Fortuna che almeno la madre alla fine ha capito la sua sofferenza, ha preso le distanze dal ragazzo che aveva difeso all’inizio ed è andata assieme a lei a denunciare tutto. «Me la sono cercata, me lo merito» avrà ripetuto cento volte quella ragazzina che, per ricominciare a vivere, è stata costretta a cambiare città.
Sul baratro
«Quando una persona viene da noi quasi sempre è perché è arrivata sull’orlo del baratro, e a quel punto il reato si è già consumato e il livello di diffusione delle immagini è già grave», commenta Ivano Gabrielli, direttore della Polizia Postale, «non ha idea della fatica che facciamo per far capire a chi ci racconta queste storie che loro sono le vittime e non hanno nessuna colpa».
Ecco. Funziona così, il revenge porn. Colpevolizza, indebolisce, annienta.
È l’articolo 612-ter del codice penale, introdotto nel 2019 con la legge nota come «codice rosso»: è «revenge porn» pubblicare — o minacciare di farlo — «foto o video di persone in pose sessualmente esplicite» senza il consenso di chi appare. Pena massima prevista: sei anni, sempre che non si sconfini (com’è facile) anche nel territorio dello stalking o della diffusione di materiale pedopornografico.
Ma qual è l’identikit dell’autore di revenge porn? La categoria più facile da evocare è quella dell’innamorato/a che vuole vendicarsi dopo l’interruzione di una storia. Ma non sono rari — specie fra i minorenni — anche i prevaricatori sadici che prendono di mira persone fragili per divertimento, per scommessa, per deridere una disabilità o per «smascherare» vere o presunte omosessualità. C’è il ragazzo che corteggia una ragazza con lo scopo preciso di riprendersi in situazioni intime e poi denigrarla con gli amici sui social. C’è il belloccio della scuola che fa il filo alla ragazzina ai margini di tutto per ottenere una fotografia «compromettente» da girare alla chat dei bulli. Trovi invece soprattutto fra gli adulti l’amante abbandonato che diffonde di tutto di più, magari direttamente sulle piattaforme (sono migliaia) che gestiscono immagini pornografiche come Youporn o Pornhub, per citare le più famose.
Mondo cattivo
Il dottor Gabrielli dice che se pensiamo all’età delle vittime, i minorenni sono poco più della metà rispetto ai maggiorenni. Il reato di revenge porn è recente e quindi lo è anche il suo monitoraggio. Ma il dato che più colpisce è la differenza fra il numero di casi trattati nel 2020 (126) e il totale dei casi del 2021, cioè 265. Il 110% in più. E se è vero che quell’impennata aveva a che fare con l’iperconnessione alla Rete dovuta alla pandemia, è anche vero che in questo 2022 (senza scuola a distanza e con meno smart working) i casi ufficiali sono 226 (aggiornati al 20 novembre). Quindi siamo più o meno alla stessa cifra del 2021.
Dietro ogni numero c’è una famiglia che all’improvviso si ritrova davanti a una montagna da scalare.
«Guardi, per noi è stato come risvegliarsi in un mondo cattivo. Siamo rimasti davvero spiazzati», confessa Francesco, padre romano quarantenne di una ragazzina di 13. Un giorno di un anno fa sua figlia è arrivata davanti a lui e sua moglie e ha cominciato a piangere. Non sapeva nemmeno da quali parole cominciare… «Ci ha detto che l’avevano filmata mentre si scambiava effusioni con un ragazzino. Cose minime, parliamo di una dodicenne! Ma il video cominciava a girare su un gruppo di WhatsApp e lì dentro c’erano i commenti delle sue amichette che l’hanno ferita moltissimo. Non faceva che piangere, si sentiva violata nella sua intimità e alla fine abbiamo dovuto cambiare scuola. Abbiamo parlato con i genitori dei ragazzi e abbiamo rimosso tutto, spero…».
Raccontando questo agli amici, Francesco è stato l’ispiratore di una serie Tv che si intitola «La storia di Stella», prodotta da Luca Milano (per RaiGulp) e Simona Ercolani (per Stand by me).
Moglie e figlia
Francesco ci è riuscito (forse), ma non sempre si interviene in tempo per stroncare sul nascere la diffusione. «Noi, su richiesta delle vittime, segnaliamo alle piattaforme online ogni anno fra i 3.000 e i 4.000 video da rimuovere, e ogni volta il video viene rimosso istantaneamente», assicura Matteo Flora, presidente di PermessoNegato.it, fra le più grandi associazioni europee contro la pornografia non consensuale. «Ho in mente il caso di una ragazza finita su un sito che per rimuovere il filmato voleva il documento di identità della vittima… figurarsi! Ho fatto “moral suasion”, diciamo così: sono andato sotto casa di chi doveva fare quell’operazione e gli ho detto: spiego a tua moglie e tua figlia che non vuoi togliere le immagini di quella ragazzina? Ovviamente le ha tolte».
Rimediare, prima che sia troppo tardi. E al direttore Ivano Gabrielli torna in mente un caso limite: «Ricordo un ragazzo della provincia di Napoli che i nostri del commissariato virtuale (un portale dedicato a tutta la materia del cyber, ndr) hanno tenuto al telefono per 40 minuti. Stava per uccidersi perché qualcuno, approfittando della sua più o meno dichiarata omosessualità, lo aveva indotto a scambiare foto intime per poi pubblicarle. Abbiamo fatto accertamenti al volo, siamo risaliti all’identità, lo abbiamo chiamato. Non sa che sollievo, poi, sapere dalla volante che era salvo…».
Nel dark web
Ancora una storia di omosessualità più o meno dichiarata, ancora un ragazzino disperato finito negli artigli di un gruppo di cyberbulli: il gruppetto costruisce una identità virtuale e con una serie di scuse porta il ragazzino a flirtare con quella persona inesistente. Lui condivide immagini, loro lo distruggono pubblicandole ovunque.
Altro salto nel buio, stavolta pericoloso più che mai. Parliamo di minorenni, in Italia. Il fidanzatino lasciato si vendica e pubblica le immagini di lei nel dark web spacciandosi per pedofilo. Il volto è visibile, lui non dà indicazioni precise ma ce n’è abbastanza perché il mondo dei pedofili risalga ai profili social della ragazzetta che comincia a ricevere avance spaventose…
Stiamo parlando di casi accertati, seguiti e per i quali sono state indagate delle persone. Indagini che coinvolgono spesso anche il mondo degli adulti, come sa bene la donna filmata dal suo amante che a fine relazione ha inoltrato tutto alle piattaforme online pornografiche. Anche qui: volto ben in vista e identità svelata nell’arco di pochi giorni. Lei comincia a ricevere proposte sessuali e capisce che la sua vita non sarebbe stata mai più la stessa. Suo marito scopre il video e assieme a lui l’intero paese in cui la coppia vive. Lei perde casa, lavoro, amici, e le crolla tutto addosso.
Questo, oppure il dispiacere profondo di una ragazzina/o che si sente umiliata, poco importa. Finire all’angolo per revenge porn è così violento che, per dirla sempre con Gabrielli, «le nostre psicologhe notano che gli effetti prodotti sono del tutto analoghi a quelli di uno stupro».
10 dicembre 2022 (modifica il 10 dicembre 2022 | 07:44)
© RIPRODUZIONE RISERVATA