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Napoli, la metropolitana infinita e i treni sepolti: sono rimasti fermi per 27 anni tra ritardi e inchieste

di Gian Antonio Stella

La Linea 6 tra burocrazia ed errori: è entrata in funzione solo dal 2007 al 2013. Tra ritardi, lentezze burocratiche e inchieste giudiziarie, ora si cerca di far ripartire un’infrastruttura necessaria

«Pe duje anne / e duje mise / ‘o rummore m’ha acciso / notte e ghiurno, ma che / tenevano a scavà…. m’o dicite / sotto viale Augusto che ce stà?» Trent’anni dopo lo sfogo rock di Edoardo Bennato che non ne poteva più dei lavori per la nuova (allora) metropolitana di Napoli, la leggendaria Linea 6 varata nel lontano 1981 è «praticamente finita» ma ha ancora un problemino: i treni sepolti e ostaggi del sottosuolo.

I convogli fermi sotto terra

Direte che è ovvio che un convoglio underground si muova sottoterra. Ma non è questo il caso: gli stessi identici treni che a Genova, per esempio, vanno quotidianamente avanti e indrè, qui sono sepolti e immoti da dieci anni. Cioè da quando l’azienda nel 2013, visto che i passeggeri erano così rari da inabissare il già terrificante buco contabile, ha lasciato i vagoni dove stavano e chiuso ogni accesso. Di tanto in tanto, come fanno gli amatori delle auto d’epoca tenute in garage cui staccano la batteria mettendola in carica, qualche tecnico riavvia il motore e fa fare loro un giretto su e giù. Magari con qualche ospite della Ue che voglia controllare come furono spesi i soldi comunitari. Poi, clic, fine. In attesa di una nuova ripartenza. Annunciata un anno sì e l’altro pure.

L’assenza di un deposito-officina

Ecco il nodo: riusciranno ad avere, quell’agognato giorno che una volta o l’altra dovrà ben arrivare, l’autorizzazione a ripartire quei treni MN L.6 001-006 progettati negli anni Ottanta per portare 196 persone a vagone? Direte: insomma, mal che vada ci metteranno dei treni nuovi! Macché: a suo tempo, nella fretta, si scordarono di scavare nei paraggi un deposito-officina dove movimentare i treni per la manutenzione ordinaria e quella straordinaria. Col risultato che, pur di consegnare i vecchi treni in tempo per il calcio d’inizio di Italia 90 (a metà maggio l’Unità titolava: «Mondiali ancora in alto mare») i vagoni di ventitré metri furono calati con un’enorme gru dall’alto e poi tappati là sotto. Morale: non c’è modo né di tirar fuori i vecchi né di inserire i nuovi (assai più lunghi) a se non costruendo finalmente quella deposito-officina di cui dicevamo.

I soldi e i tempi

Il posto c’è: un’area in disuso tra Fuorigrotta e Posillipo. I soldi anche: 8.745.000 euro da sommare, par di capire, ai 623 milioni di euro attuali già spesi. Tempi di realizzazione? «Ce la metteremo tutta per farcela entro il 2024 — risponde l’assessore ai trasporti Edoardo Cosenza —. Ma in tutta sincerità, conoscendo i tempi italiani, non sarebbe serio fissare date così, a casaccio». Dopo di che arriveranno anche i treni nuovi.

Più lenti degli antichi egizi

Fatto sta che quelli vecchi sono rimasti spenti e sepolti, senza spostarsi di un metro a causa delle autorizzazioni mancanti, dalla primavera del 1990 al gennaio del 2007 (quando la linea venne inaugurata dal premier Romano Prodi anche se mozza: quattro stazioni fatte, quattro da fare) e poi di nuovo dalla primavera 2013 (cominciò tutto con una chiusura temporanea poi prolungata ad aeternum per perder meno soldi…) fino ad oggi, per un totale di quasi ventisette anni. Quattro anni in più di quelli sufficienti al faraone Cheope, secondo gli studiosi, a costruire la sua piramide cui dedicò un libro straordinario, La Piramide, appunto, Ismail Kadare: «L’undicimilatrecentosettantacinquesima pietra fu rovinosa per i suoi portatori. Uno dopo l’altro caddero senza ragione i muratori Mumba, Ru, Thutse e nove altri anonimi manovali…»

Un’attesa lunga 41 anni

E ti chiedi: possibile che da quel 1981 (sindaco era Maurizio Valenzi, cui sarebbero seguiti 3 commissari e 15 sindaci contando il doppio mandato di Bassolino, Jervolino e de Magistris più 10 governatori più 16 presidenti del consiglio di destra e di sinistra) non siano bastati quarantuno anni per costruire la Linea Tranviaria Rapida? Ne avevano previsti cinque, di anni di lavoro, per avviare quella linea che un po’ in superficie e un po’ sotto avrebbe dovuto portare migliaia di passeggeri quotidiani da Fuorigrotta a Ponticelli e cioè dai quartieri occidentali a quelli orientali, per un totale di quasi 18 chilometri e 26 stazioni. Macché: il progetto fu presto ridotto a 3,2 chilometri in sotterranea con 4 stazioni, poi raddoppiate a 8 fino a piazza Municipio per un totale di 5 chilometri e mezzo. Per essere rilanciato oggi con un prolungamento verso Bagnoli e verso Posillipo.

La necessità di nuovi treni

A farla corta: ammesso che la nuova linea ottenga sul serio il via libera a riaprire in primavera (auguri) la fine reale dei lavori (la gara d’appalto per il deposito dovrebbe partire «a giorni», auguri bis), dovrebbe slittare, ha scritto Anna Paola Merone sul Corriere del Mezzogiorno, un po’ più in là. Forse tre anni. Tocchiamo ferro: se ha ragione Paolo Barbuto del Mattino, «attualmente sarebbero disponibili al servizio solo 6 treni “storici” comprati nel 1988 come tram veloci e poi adattati». Un guasto e ciao: problemi raddoppiati. Sarà dura, finché non arriveranno i nuovi, lunghi 39 metri e impossibili da calare giù.

Tra inchieste e lentezze burocratiche

I colpevoli? Tanti. A partire dai responsabili della lunga stagione tangentizia dopo il terremoto del 1980, allo strascico delle inchieste giudiziarie che intimorirono anche i più onesti, alle proverbiali lentezze borboniche della burocrazia, alla cattiva politica clientelare (c’è anche quella buona, si capisce, ma è meno diffusa) interessata più ai tagli dei nastri che alle manutenzioni… E poi troppi errori, troppe svolte progettuali, troppe ambizioni titillate anche da vanità personali. Facile oggi, dopo averlo osannato, votato e rivotato ai tempi del «Rinascimento» partenopeo, gettare fango su Antonio Bassolino e la sua idea delle «Stazioni dell’Arte» capaci di attirare folle di visitatori e affidate alla (spesso costosa) fantasia di archi-star internazionali.

Il recupero di una progettualità

Ma sono in tanti a pensarla come lo storico Paolo Macry: «Va riconosciuto al sindaco poi governatore d’avere cercato di restituire a Napoli una dimensione internazionale dopo anni di opacità e degrado. Le stazioni della metropolitana, in particolare quelle della Linea 6, riassumono un po’ l’idea alta che aveva della città ma anche l’attenzione minore per altri temi. Sono bellissime, quelle stazioni. Bellissime. I fatti dicono però che occorreva dedicare più tempo e più denari ai binari, ai treni, ai passeggeri. Ai problemi pratici». «Sono d’accordo», dice l’assessore Cosenza, «Al punto che col sindaco Gaetano Manfredi abbiamo deciso di fare le nuove stazioni della Linea 10, da quella per l’alta velocità di Afragola al centro di Napoli, tutte uguali e semplicissime. Ingegnere lui, ingegnere io: andremo al sodo». Mai più opere stupende che per la manutenzione richiedono, come a Garibaldi, introvabili operai acrobatici? Mah…

14 dicembre 2022 (modifica il 14 dicembre 2022 | 07:28)

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