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Il decreto rave? Not so bad

Legge non indispensabile, ma compromesso accettabile

Gli emendamenti approvati in Commissione Giustizia del Senato, in sede di conversione del decreto-legge n. 162 del 2022 (il cd decreto rave), non solo migliorano il testo originario del provvedimento, ma offrono anche interessanti spunti, di metodo e di merito, sui primi (e forse sui prossimi) passi del nuovo governo in tema di giustizia.

   

Di metodo, anzitutto. Da più parti ritenuto in crisi, il Parlamento, inverando l’ideale di razionalità discorsiva, ha dimostrato di conservare l’originaria funzione di garanzia; l’opera di mediazione e rivisitazione svolta in Commissione ha infatti restituito l’immagine di una sede deliberativa capace di ascoltare, recepire ed elaborare soluzioni migliorative, idonee a superare le principali criticità emerse all’indomani dell’emanazione del provvedimento, e di saperle affiancare a proposte ulteriori e innovative.


Nel merito, poi, il decreto, pesantemente avversato sul piano mediatico, sembra oggi, per come emendato, avere risolto (o grandemente attenuato) i più rilevanti limiti tecnici denunciati e avere al contempo acquisito una coerenza interna. Nel dettaglio, il rinnovato articolo 633-bis c.p., ora rubricato quale “invasione di terreni o edifici con pericolo per la salute pubblica o l’incolumità pubblica”, è stato collocato all’interno dei delitti contro il patrimonio e deprivato del pericolo per l’ordine pubblico e del numero minimo dei partecipanti (la cui punibilità, non più espressamente contemplata, residuerà, ricorrendone i presupposti, ai sensi dell’art. 633 c.p.). Eliminate le misure di prevenzione e il riferimento al codice antimafia, sono stati inseriti, in uno sforzo di tipizzazione, molteplici elementi che ne circoscrivono la portata applicativa: da un lato, dovrà trattarsi di un raduno musicale o avente altro scopo di intrattenimento; dall’altro, il pericolo concreto per salute e incolumità pubbliche dovrà trovare causa nell’inosservanza di norme in materia di sostanze stupefacenti ovvero di sicurezza o di igiene degli spettacoli e delle manifestazioni pubbliche di intrattenimento, tenendo conto del numero dei partecipanti o dello stato dei luoghi. Sono stati in sostanza delineati i contorni di una fattispecie che, per come riformulata, difficilmente troverà applicazione (il dolo richiesto è di ardua verificabilità), ma che è in grado di raggiungere il vero obiettivo: scongiurare, dissuadendone le attività prodromiche, eventi pericolosi sinora non facilmente contrastabili.

 

Su un diverso piano, un passo avanti è stato compiuto pure in ambito di benefici penitenziari, con l’esclusione dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione dal novero dei reati ostativi di cui all’art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario. Si è infine perfezionato, assieme a taluni primi miglioramenti (ad esempio sulle cause di inammissibilità delle impugnazioni inviate via pec), un rinvio “organizzativo” della riforma Cartabia, con l’introduzione di una disciplina transitoria per scandire una graduale entrata in vigore delle più delicate modifiche contenute nel decreto legislativo n. 150 del 2022, attutendone l’impatto sulla macchina giudiziaria.

 

Il dialogo conta, allora; nella fisiologica dialettica parlamentare tra maggioranza e opposizione e nel confronto tra le stesse forze di governo, soprattutto se – come in questo caso, almeno all’apparenza – non del tutto allineate. Si è riusciti a realizzare una proficua sintesi tra istanze di garanzia e sicurezza: un segnale incoraggiante al cospetto del vasto programma presentato nei giorni scorsi in Parlamento dal Ministro della Giustizia nelle sue linee programmatiche e delle fibrillazioni che ne sono immediatamente scaturite.

Cristiano Cupelli è professore ordinario di Diritto penale all’Università di Roma Tor Vergata

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