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I pm chiedono il parere della Consulta e propongono di abrogare l’articolo che non permette di procedere al giudizio in contumacia. La prossima udienza del gup è attesa per il 31 maggio
Il processo Regeni è impantanato, il prossimo appuntamento è l’udienza del 31 maggio. Sul tavolo degli imputati per il sequestro e l’uccisione dell’attivista Giulio Regeni ci sono quattro militari dei servizi segreti egiziani: Tariq Sabir, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Uhsam Helmi e Magdi Ibrahim Abedal Sharif. Ma per la terza Corte d’Assise di Roma non è possibile giudicarli in quanto potrebbero non essere a conoscenza del procedimento. Secondo l’Avvocatura dello stato i quattro si stanno sottraendo al processo, complici le autorità egiziane che non collaborano con l’Italia per permetterle di rintracciare gli imputati e che non rispondono alle rogatorie. La procura di Roma è quindi scesa in campo, e ieri ha dichiarato di volersi rivolgere alla Corte costituzionale.
A quanto sostengono i pm, il procuratore Francesco Lo Voi e il suo vice Vincenzo Colaiocco, il modo per non cadere nell’improcedibilità ci sarebbe: abrogare l’articolo 420 bis in quella parte in cui si nega la prosecuzione di un processo quando l’assenza di conoscenza della pendenza del processo stesso da parte dell’imputato è dovuta a uno stato estero che non collabora. Nella rimodulazione della legge ha già contribuito la riforma Cartabia, ma non abbastanza da riuscire a sbloccare il processo. Governo e Parlamento avrebbero il potere di modificare la norma, ma, preso atto dell’immobilismo, i pm hanno chiesto di rivolgersi alla Consulta.
E così, la data da segnare sul calendario è il prossimo 31 maggio, quando il gup potrà decidere di andare a processo perché esistono le prove che gli imputati si stanno sottraendo; di rimbalzare la responsabilità alla Corte costituzionale; oppure di non procedere, forte della teoria per cui non esisterebbero ancora evidenze che i quattro agenti siano consapevoli delle indagini su di loro. A confortare la tesi che gli imputati sappiano benissimo del processo c’è una loro leggerezza. Dopo che i carabinieri del Ros hanno infatti reso noto il profilo social di uno di loro, Husam Helmi, quel profilo è stato rimosso.
Sul processo Regeni, dall’archivio del Foglio:
“Chi si tira indietro e, fatto un passo di lato, spara a pallettoni sfruttando il dolore di una famiglia e lo scandalo indicibile che il fatto della tortura sempre rappresenta, e lo fa in nome della dignità nazionale, assume in realtà un comportamento poco dignitoso, strumentale, banalmente utilitaristico per i vantaggi presunti ricavabili dall’offesa che prova l’opinione pubblica”.