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Il diritto a essere non credenti. Costituzione italiana, religione…

09.12.2022 – 14.30 – Oggi concludiamo l’esame di una vicenda appassionante e complessa, spiegata nei due articoli precedenti, che riassumo così: un’associazione di atei e agnostici vuole affiggere sui muri di una città dei manifesti il cui messaggio è che “Dio” non esiste o che non rileva nelle nostre vite. Il Comune vieta l’affissione ritenendo il messaggio potenzialmente offensivo per ogni fede religiosa e la “Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti” (U.A.A.R.) ricorre alla Corte di Cassazione contro il rifiuto.

I “non credenti” si lamentano che è stata loro negata la libertà di espressione, garantita dall’articolo 21 della Costituzione italiana, “nella forma negativa della mancanza di un credo religioso”. Ogni persona ha diritto di manifestare il proprio pensiero religioso nelle forme che ritiene più opportune e, pertanto, dovrebbe poterlo fare anche negando l’utilità del sentimento religioso o sostenendone l’erroneità. I manifesti, descritti nel primo articolo, secondo la U.A.A.R. non denigrano alcuna religione professata da altri e, pertanto, non essendoci vilipendio del sentimento religioso altrui, sarebbero legittimi.

Vediamo come i giudici della Cassazione affrontano e risolvono la questione. Innanzitutto, va detto che la Costituzione italiana riconosce e protegge la libertà di fede religiosa (articolo 19) ma apparentemente lascia in secondo piano la “libertà di coscienza”. Tieni presente che essere “non credente” è espressione proprio della libertà di coscienza. Pertanto, la libertà di coscienza sembrerebbe venire dopo la libertà di fede religiosa, con l’effetto che “l’ateismo comincia dove finisce la fede religiosa”. Così hanno argomentato i primi giudici che hanno affrontato la questione.

Ma la Corte di Cassazione supera questo ragionamento e decide seguendo le regole europee. L’articolo 9 della C.E.D.U. (Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali), che si occupa della “Libertà di pensiero, di coscienza e di religione”, prevede che “Ogni persona ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione …” mettendo sullo stesso piano la libertà di fede religiosa e quella di coscienza. In pratica, essere “credente” o essere “non credente” hanno la stessa importanza. In base a questo principio, le cose cambiano, e radicalmente. È pur vero che la Costituzione italiana parla solo di fede religiosa, ma se interpretiamo questa regola alla luce dei principi europei, accanto alla libertà di religione troviamo proprio la libertà di coscienza e, pertanto, il diritto dei “credenti” è equiparato al diritto dei “non credenti”. Come scrivono i giudici, “il diritto degli atei ed agnostici di professare un credo che si traduce nel rifiuto di una qualsiasi confessione religiosa (cd. pensiero religioso «negativo») … è tutelato – a livello nazionale ed internazionale – al pari e nella stessa misura del credo religioso «positivo», che si sostanzia, invece, nell’adesione ad una determinata confessione religiosa”. Dunque, se i credenti hanno diritto di professare la propria fede, i “non credenti” hanno il medesimo diritto di professare le proprie idee. È necessario che tutti abbiano lo stesso trattamento perché, ove così non fosse, ci troveremmo di fronte a un’ipotesi di discriminazione, in questo caso ai danni di atei e agnostici. In conclusione, come avrai immaginato, la Corte di Cassazione accoglie il ricorso e rovescia tutte le decisioni precedenti. (Cassazione 7893/20).

[g.c.a]

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