Si moltiplicano, anche su Domani, gli interventi (di recente Marco Ponti e Carlo Mochi Sismondi) che segnalano l’impossibilità di raggiungere gli obiettivi del Pnrr, specie per lei opere pubbliche, per la grave carenza di competenze tecniche che tocca tutto il nostro sistema istituzionale, in particolare le amministrazioni locali.
Cosa manca
I programmi settennali della Ue per la distribuzione del Fondo Europeo per lo sviluppo regionale vedono sempre l’Italia agli ultimi posti per capacità realizzativa, tanto che molti progetti sono poi definanziati e portati a termine con fondi nazionali (dal danno alla beffa!).
La carenza è sul versante progettuale: mancano ingegneri, architetti, manager, analisti economici, valutatori di impatto ambientale, geologi, informatici e così via.
Da lungo tempo l’Italia aggira l’ostacolo esternalizzando queste attività a professionisti esterni, con costi maggiori e un ulteriore impoverimento delle capacità tecniche delle amministrazioni. Perché questo avviene e non vi poniamo rimedio?
Avviene per gli effetti nefasti soprattutto delle politiche di austerità seguite crisi finanziaria del 2008 che hanno imposto dolorose misure di riduzione della spesa pubblica e del personale alle quali i governi italiani si sono adeguati con grande solerzia.
Non solo abbiamo ridotto il numero dei dipendenti pubblici, ma abbiamo ridotto anche le competenze tecniche.
Dal codice dei contratti del 2016 che ora si vuole modificare, è ben chiaro l’obiettivo di avere un numero ridotto, ma robusto di stazioni appaltanti qualificate, al servizio delle amministrazioni, specie quelle più piccole, ma si continua a non fare nulla, rinviando al nuovo Codice (quindi alla metà del 2023) anche solo l’avvio del processo di qualificazione, senza mettere mai un solo euro per cambiare la condizione oggettiva degli apparati pubblici.
Poiché le amministrazioni non ce la fanno a fare un progetto anche solo accettabile, si ricorre ad affidamenti esterni della progettazione e a procedure di emergenza (sul “modello Genova”, che tanto piace al neo-ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini), con amministrazioni parallele, (commissari straordinari) e deroghe dall’applicazione delle regole sui contratti pubblici a tutto spiano.
Lo stesso Pnrr si fonda su un uso sistematico delle deroghe. Ma i risultati non arrivano.
Servono persone
Possiamo fare qualcosa? Si, molte cose. La prima è quella di chiedere con forza alla Commissione Ue un cambiamento di rotta: reclutare personale qualificato a tempo indeterminato nelle amministrazioni non è una spesa corrente, ma un investimento per il futuro, una vera riforma strutturale.
Che produce risultati già sullo stesso Pnrr e poi per l’attuazione di tutte le politiche infrastrutturali dei prossimi decenni.
Possiamo, poi, decidere di fare un reclutamento rapido di personale qualificato con concorsi nazionali (o regionali, ma monitorati dallo Stato) per competenze non giuridiche, ma gestionali, economiche, ingegneristiche, informatiche, da distribuire non a tutti ma a un numero ristretto di presidi tecnici pubblici in grado di dare assistenza qualificata a tutte le amministrazioni territoriali.
Se si punta sulle 100 tra Province e Città metropolitane e sui 100 Comuni capoluogo di Provincia si hanno 200 presidi da rafforzare con priorità assoluta.
Se reclutiamo con i fondi Pnrr 50 tecnici qualificati per ciascuno dei presidi abbiamo 10.000 tecnici da reclutare e retribuire per i primi tre anni (2003-2005) di attuazione effettiva del Pnrr.
La retribuzione dovrebbe essere attrattiva (almeno 100.000 euro lordi l’anno), con la immediata creazione, per contratto collettivo, ma se necessario per legge, di una figura professionale di elevata qualificazione tecnica.
Il tutto con totale trasparenza sulle procedure e sotto il necessario monitoraggio della Commissione Ue (se chiedi un investimento straordinario devi renderne conto)
Un costo non superiore al miliardo l’anno. Dove trovare questi tre miliardi? Nella necessaria revisione dei progetti inizialmente ipotizzati, spesso inutili (come è avvenuto per i progetti europei dei fondi Fesr).
Va poi ricordato che questo investimento iniziale, che ridurrebbe di molto il costo di una progettazione fatta “in casa” rispetto a quello sproporzionato delle esternalizzazioni, è destinato ad essere pienamente ripagato in futuro, perché conteggiato nel costo complessivo di ciascuno degli interventi realizzati.
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