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“Querelante fallito e…”. Facci silura il piagnone Saviano – Matteo Milanesi

La forza del potere governativo contro un indifeso scrittore. È in questo modo che la sinistra progressista sta cercando di dipingere il processo tra Giorgia Meloni e Roberto Saviano, dove l’autore di Gomorra è stato querelato dall’attuale premier nel 2020, per averle rivolto l’offesa “bastarda” durante la trasmissione Piazzapulita.

Appena uscito dall’aula del processo a Roma, il malcapitato Saviano è stato inondato dalle domande dei giornalisti, ai quali ha confessato di non essersi pentito dell’insulto rivolto e di sentire “un peso importante”, proprio perché “in quest’aula c’è da una parte lo scrittore e dall’altra il primo ministro. E quindi, probabilmente, si tende a tutelare la funzione del primo ministro”. Insomma, un velato messaggio che potrebbe suonare come dubbio circa il rispetto della funzione imparziale e terza dell’autorità giurisdizionale. Eppure, chiediamo a Saviano, come potrebbe essere avvantaggiata Giorgia Meloni nel corso del processo, posto il fatto che la querela è avvenuta ben prima che Fratelli d’Italia trionfasse alle scorse elezioni? Una domanda che attende ancora risposta.

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Ma andiamo avanti. È sempre lo scrittore a lamentarsi circa un’anomala speditezza nel processo, che quindi andrebbe ad agire a suo danno. Eppure, come sottolineato da Filippo Facci sulle colonne di Libero, non c’è nessuno complotto contro Saviano. E anzi, l’arco temporale intercorso dalla querela della Meloni al rinvio a giudizio è stato pari a un anno e mezzo, con inizio del processo esattamente il 15 novembre 2022.

Caso ben diverso, riporta Facci, rispetto a quello di Antonio Di Pietro, che “querelò un’intervista del 5 febbraio 1997 e il rinvio a giudizio fu il 3 aprile successivo, ossia due mesi dopo, non due anni”. O ancora: “Dite a Saviano che, in data 12 gennaio 2011, fu lui a querelare due articoli del quotidiano Liberazione e che la decisione sul rinvio a giudizio fu il 6 luglio 2012, solo un anno a mezzo dopo, e che la decisione d’Appello fu il 21 gennaio 2013, fanno due anni per due gradi di giudizio“. Termini ben diversi rispetto al caso lamentato, dove sono intercorsi 24 mesi solo per instaurare il procedimento. “Il problema – conclude Facci – è che Saviano li perse entrambi: archiviazione in primo e secondo grado. Dite quindi a Saviano che il suo status, ora, è quello di «scrittore» condannato per plagio, querelante fallito e rinviato a giudizio come diffamatore”.

Formigli: “Testimonierò volentieri”

Ma arrivano i soccorsi esterni per Saviano. Tra i testimoni, essendo il conduttore della trasmissione in cui lo scrittore rivolse l’insulto a Meloni, vi è anche Corrado Formigli, il quale ha già preso le difese di Saviano in un post sui suoi canali social: “Non bisogna spegnere la luce su questo processo che segna un punto di svolta sul diritto di critica, anche radicale, dell’esercizio del potere politico da parte di un potere autonomo, quello dell’informazione”. E conclude: “Testimonierò volentieri al processo per raccontare ai giudici il contesto in cui le parole di Saviano su Meloni e Salvini sono state pronunciate”.

Una posizione che, però, è costata non poche critiche da parte degli utenti, i quali sottolineano come la parola “bastarda” sia un’espressione di odio ed un insulto, piuttosto che un semplice diritto di critica: “Mi sembra che questo strida con tutto il vostro sbandierato impegno per impedire le espressioni di odio… Il vostro complesso di superiorità sarà la vostra rovina. Dopo un po’, la gente si accorge dell’ipocrisia e si stufa dei proclami stucchevoli”, sentenzia una utente.

Matteo Milanesi, 15 dicembre 2022

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