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“Me ne frego” è lo slogan del liberismo secondo Giorgia Meloni

Nella conferenza stampa di fine anno, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha dichiarato di escludere misure anti-Covid. Ha auspicato che l’Unione europea, di fronte ad una nuova ondata dei contagi, usi «responsabilità e non coercizione».

Ci sono nella coalizione di governo partiti che nella fase tremenda del contagio hanno celebrato la libertà come non-interferenza da parte dello Stato nelle scelte individuali di movimento. Hanno sostenuto manifestazioni di piazza contro l’obbligo della mascherina, del vaccino e del green pass.

Giorgia Meloni dichiarò, dall’opposizione, di non vaccinare la figlia. Vaccino come rischio, Stato come carceriere: la massima neoliberista rilanciata nella stagione del Covid.

Ora, da palazzo Chigi e dopo due governi che hanno fatto tutto quel che si doveva fare – non quello che lei e i suoi alleati volevano che si facesse – la leader può permettersi il lusso di sfoderare la libertà come licenza.

Una liberal-liberista che capitalizza sui governi del rigore. Che ha l’agio di farsi imitatrice di Robinon Crusoe, come prima di lei Bolsonaro e Trump, ma senza probabilmente produrre i loro danni (il merito sarà della fortuna però, non suo).

Quel che emerge da questi primi mesi di governo è che la nuova destra pratica con la questione sanitaria la stessa logica che pratica in economia.

Via lo Stato dall’economia: meno tasse per chi meglio sta e abolizione dell’intervento pubblico a sostegno di chi peggio sta.

Via lo Stato dai servizi sociali nazionali: tagli alla scuola pubblica e alla spesa sanitaria con il chiaro intento di favorire il privato. Il neo-tatcherismo torna in Italia con gli eredi di Giorgio Almirante.

In questo quadro si inserisce la (non) politica anti-Covid del governo. Anche qui, l’appello alla “responsabilità” individuale è uno modo furbesco di lasciar fare: «Chi è causa del proprio mal pianga se stesso». Come chi non trova lavoro anche chi si contagia se lo merita.

L’importante è che lo Stato non pratichi la “coercizione”, ovvero che non impegni i soldi pubblici per sostenere chi ha bisogno o prevenire, potendolo, nuovi contagi.

E non si dica che l’estrema destra è illiberale. Essa è estremamente liberale. Se non altro, grazie a questo governo ci chiariamo le idee sulle due tradizioni interne alla famiglia liberale: una centrata sul “lasciar fare, lascia passare” come si diceva un tempo della scuola liberista in economia; e una centrata sul valore eguale delle singole persone.

Anche oggi come in passato, il liberalismo si biforca: da un lato, un individualismo antisociale che può ben adeguarsi all’orbace “me ne frego” salvo essere autoritario con le minoranze; dall’altro, un’individualità che per svilupparsi ha bisogno di una libertà che riconosce i proprio limiti in quella degli altri.

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Nadia Urbinatipolitologa

Titolare della cattedra di scienze politiche alla Columbia University di New York. Come ricercatrice si occupa del pensiero democratico e liberale contemporaneo e delle teorie della sovranità e della rappresentanza politica. Collabora con i quotidiani L’Unità, La Repubblica, Il Fatto Quotidiano e con Il Sole 24 Ore; dal 2019 collabora con il Corriere della Sera e con il settimanale Left. Negli Stati Uniti è stata condirettrice della rivista Constellations. Dal 2016 al 2017 è stata presidente di Libertà e Giustizia; è stata vice-presidente sotto la successiva presidenza di Tomaso Montanari.

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