Una cosa è “sostenere Kiev”, un’altra dare sempre ragione all’Ucraina. Anche quando non ne ha. È il caso della Via Crucis tenutasi ieri sera al Colosseo a cui il Papa ha pensato di far partecipare tra gli altri un ragazzo ucraino e un ragazzo russo. Decisione subito contestata dall’ambasciatore di Kiev in quello che appare quasi un delirio d’onnipotenza comunicativa dell’Ucraina.

Non bisogna avere il timore di criticare chi sbaglia, anche se veste i panni del comprensibile ruolo della vittima. Le riflessioni dei due ragazzi alla decima stazione della Via Crucis hanno solo raccontato due facce della stessa medaglia. La medaglia della guerra. Il giovane ucraino ha parlato della fuga da Mariupol invasa, del padre bloccato alla frontiera, dell’arrivo in Italia, della sua bella città distrutta. Il russo invece ha detto di sentirsi “spogliato della felicità”, non solo morale: il fratello più grande è morto in guerra e il padre e il nonno sono scomparsi al fronte. “Tutti ci dicevano che dovevamo essere orgogliosi, ma a casa c’era solo tanta sofferenza e tristezza”. Entrambi hanno chiesto a Dio di combattere il “risentimento”, il “rancore”, gli “atteggiamenti che creano divisioni”. È stato un messaggio forte, pure coraggioso se vogliamo. Ma non è piaciuto a Kiev.

L’ambasciatore ucraino presso la Santa Sede, un po’ come fece nel 2022, si è lamentato pubblicamente. Per Andrii Yurash il giovane russo dimentica di precisare “che i suoi parenti sono andati in Ucraina per uccidere non solo il padre del ragazzo ucraino, ma tutta la sua famiglia e non viceversa”. Che errore fare di tutta l’erba un fascio. Che errore trasferire le colpe dei governanti su tutto il popolo. Che errore non comprendere come anche oltre frontiera possa esserci dolore, sofferenza, morte. È la stessa identica svista commessa da alcuni in Europa convinti che per combattere il Cremlino fosse necessario attuare una sorta di damnatio memoriae della Russia: cacciare i direttori d’orchestra, inibire gli artisti moscoviti, vietare Dostoevskij. Ma se le colpe dei padri non ricadono sui figli, allora è vero pure che le colpe dei leader non dovrebbero abbattersi sul popolo che le subisce.

Perché il Vaticano avrebbe dovuto escludere la testimonianza del giovane russo? Che colpe può mai avere quel ragazzo che era al Colosseo per chiedere pace? Questo non significa affermare che Zelensky non abbia il diritto di difendersi. E di farlo finché crede. Ma è quando scompare la pietà e tutto si trasforma in battaglia mediatica, militare e politica che si comprende come la guerra sarà lunga e sanguinosa. Purtroppo.

Giuseppe De Lorenzo, 7 aprile 2023

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