Un turista con spirito di osservazione, forse si sarà posto qualche domanda sulle stranezze delle panchine nella nostra città. Panchine con un insolito divisorio nel mezzo, a che pro? Divisorio che ora viene tolto. Panchine con un vuoto nel mezzo, a che pro? Certo i cittadini veronesi ne conoscono la storia, le polemiche, le ipocrisie, e molti ne sorridono.
Le panchine, insieme a fioriere, cestini portarifiuti, aiuole ed altro, fanno parte dell’arredo urbano, sono biglietto da visita della città, ma costando relativamente poco, ed avendo per loro natura alta visibilità, si prestano a diventare anche scorciatoie per tentare di risolvere, o mascherare, problemi ben più grandi.
Così è stato nel 2007 con l’allora sindaco Flavio Tosi. Non piace a nessuno vedere un “barbone” avvolto in coperte disteso su una panchina. Risolvere alla radice le problematiche sociali che portano i senza fissa dimora a dormire sulle panchine è oggettivamente complesso, lungo e costoso. Più veloce e pratico posare delle sbarre antibivacco per impedire loro di distendersi. Una operazione peraltro coerente con un sindaco “sceriffo” e uomo del “Fare”.
Lontano dagli occhi, lontano dal cuore, dice un vecchio proverbio, ma il problema dei senza fissa dimora, le sbarre sulle panchine lo hanno solo spostato senza risolverlo. I barboni non sono scomparsi, sono andati a dormire da un’altra parte, e continuano anche a morire nelle fredde notti invernali.
Se la posa delle sbarre antibivacco era una operazione di “destra” il toglierle, parafrasando Nanni Moretti, non poteva che diventare un “qualcosa” di sinistra. Se posarle era stato catalogato come un atto finalizzato a nascondere il disturbo del disagio sociale, levarle non poteva che trasformarsi in un gesto di accoglienza.
Ha fatto bene Damiano Tommasi a togliere? Politicamente è una mossa azzeccata, che marca una differenza di visione del nuovo sindaco rispetto alle amministrazioni precedenti. Ma rimane una azione simbolica, ed i simboli se non sostenuti da investimenti e azioni di sostanza possono diventare controproducenti. Le sbarre non vengono certo tolte per far tornare i senza fissa dimora a sdraiarsi sulle panchine. Ma se uno di loro dovesse morire di freddo su una panchina in una gelida notte di questo inverno, e speriamo davvero non accada, oltre la tragedia sarebbero inevitabili le polemiche.
E che dire delle panchine con quel vuoto nel mezzo? Sembrano più strambe che belle. Anche in questo caso si è voluto puntare più sul valore simbolico che sulla sostanza. Inclusione vuol dire sistemare le persone diversamente abili in spazi a loro dedicati? Non è che proprio così le facciamo sentire “diverse”? Che poi, come scrive giustamente Gianni Falcone, il problema per un disabile è arrivarci, con tutte le barriere che si incontrano per strada.
Per fortuna qualcosa comincia a muoversi in questa nuova Amministrazione. In un recente Consiglio comunale, con fondi Pnrr sono stati finanziati progetti e percorsi di sostegno e autonomia per persone con disabilità, la realizzazione di una struttura di accoglienza per i senza fissa dimora, centri di servizio diurni, appartamenti per percorsi di housing per persone in condizioni di marginalità.
Questi sono i veri progetti importanti, di sostanza, da realizzare al più presto, sui quali mettere testa e cuore ed ai quali dare visibilità. Lasciamo stare le pretenziose modifiche strutturali alle panchine e limitiamoci piuttosto a dipingerle: di giallo per ricordare Giulio Regeni, di rosso per ricordare la violenza sulle donne, di bianco per ricordare i morti sul lavoro.
Claudio Toffalini