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L’attentato a Tel Aviv mostra che il conflitto in Israele sta crescendo

  • Venerdì sera il giovane italiano Alessandro Parini è rimasto vittima di un “pigua drissà”, la modalità di attentato in cui l’aguzzino investe le sue vittime con l’automobile

  • L’attentato avviene nel contesto di un’escalation di tensioni a livello regionale, in parte dovuta al mese della festività musulmana del Ramadan

  • Parini è l’unico turista italiano ad essere rimasto vittima di un attentato in Israele, ma altri connazionali hanno perso la vita nell’ambito del conflitto

Secondo un calcolo basato sui dati del ministero del Turismo israeliano e dell’Ufficio centrale israeliano di statistica, negli ultimi 15 anni, cioè dal 2009 ad oggi, oltre un milione e mezzo di cittadini italiani ha visitato Israele.

Una cifra la cui enormità dà la misura della sfortuna di Alessandro Parini, avvocato di 35 anni residente a Roma, falciato sul lungomare di Tel Aviv venerdì sera da un “pigua drissà”, come è nota nello stato ebraico la modalità di attentato in cui l’aguzzino cerca di investire le sue vittime con l’automobile. Secondo fonti diplomatiche, nella serata di ieri il ministro degli Esteri israeliano Eli Cohen si apprestava a visitare un secondo nostro connazionale ferito presso l’ospedale Ichilov di Tel Aviv. Non è in pericolo di vita e dovrebbe venire dimesso nei prossimi giorni.

Nel frattempo è rientrato a Roma un terzo italiano, che ha riportato solo piccole escoriazioni ed era stato dimesso in tempi brevi. Meno fortunati i ricoverati inglesi, che sarebbero stati sottoposti a interventi chirurgici seri.

A causa dei “piguei drissà” le fermate degli autobus israeliani a Gerusalemme e in Cisgiordania, i principali bersagli di questo genere di attacchi, sono spesso protette da imponenti cubi di cemento armato, in modo che l’auto vada a sbattere prima di colpire i viaggiatori in attesa.

Tali precauzioni non erano state ritenute necessarie presso la taielet, passeggiata sul lungomare di Tel Aviv, considerata uno dei luoghi più sicuri dello stato ebraico.

Dei tre gruppi di amici estemporanei colpiti, Parini appartiene al terzo – viene travolto non lontano dall’ambasciata del nostro paese verso la fine della folle corsa dell’auto. Corali le condanne delle autorità sia italiane che israeliane.

Il punto dell’attentato, all’altezza del Charles Clore Park dove la taielet comincia ad allontanarsi dal centro di Tel Aviv dando fiducia a chi si avventura a piedi fin verso il sobborgo meridionale storicamente arabo di Jaffa, dista pochi minuti da quello di un altro famoso attentato, uno dei più sanguinosi della seconda intifada.

Nel 2001 un attentatore suicida prese di mira la discoteca Dolphinarium uccidendo 21 giovani israeliani, molti di loro originari di paesi ex Urss. Da poco la struttura del locale è stata abbattuta, nel contesto del travolgente sviluppo urbano della città.

Escalation regionale

La tragica scomparsa di Parini, travolto da una storia che non gli apparteneva, arriva nel contesto di un’escalation regionale. Durante la festività islamica del Ramadan gruppi di fedeli palestinesi si sono scontrati con le forze di sicurezza israeliane presso la Spianata delle Moschee, luogo sacro e principale meta di pellegrinaggio nel mese di digiuno.

Come spesso accade, la tensione a Gerusalemme e in Cisgiordania ha portato anche a un botta e risposta con i militanti della striscia di Gaza, oltre che a una rara pioggia di razzi dal Libano al nord di Israele attribuita a sua volta al movimento Hamas. In Libano vivono centinaia di migliaia di profughi palestinesi, molti dei quali risiedono in campi circondati dai soldati del paese dei cedri.

Rispondendo con dei raid aerei alle decine di razzi arrivati dal Libano l’esercito dello stato ebraico avrebbe però fatto attenzione a non colpire obiettivi legati al potente braccio militare del partito Hezbollah, che sarebbe estraneo agli attacchi, per evitare di trascinare l’alleato dell’Iran in un conflitto inevitabilmente molto più grave.

Kfar Qassem

Per quanto manchi una rivendicazione esplicitamente nazionalista da parte dell’attentatore di Tel Aviv – un israeliano arabo del villaggio di Kfar Qassem – il video in cui lo si vede accelerare a massima velocità lungo la pista ciclabile lascia come unica alternativa plausibile soltanto l’infermità mentale.

Kfar Qassem, da dove proveniva il quarantacinquenne Yousef Abu Jaber, è uno di quei villaggi frontalieri rimasti dalla parte dello stato ebraico piuttosto che in Cisgiordania per uno scherzo del destino. La popolazione è completamente araba e legata alla storia palestinese in particolare per il massacro del 1956 – uno degli episodi più bui della storia del Paese.

All’epoca – e per i dieci anni successivi – i villaggi arabi all’interno dei confini di Israele erano ancora sottoposti al regime militare. Nell’ottobre 1956 la polizia di frontiera dello stato ebraico decise di imporre un coprifuoco alla cittadina senza curarsi di darne preavviso agli agricoltori, che erano nei campi. Poi aprì il fuoco mentre tornavano a casa, uccidendo 49 persone.

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