PIEVE DI SOLIGO – Daniela Castiglione è una delle poche burattinaie soliste d’Italia (in Veneto ce ne sono tre). Inventa e scrive le storie che rappresenta, disegna e crea – con il legno o la cartapesta – i suoi burattini; li riempie di vita, carattere e magia. E li porta ovunque.
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Nelle piazze, nei festival dove – accanto agli adulti – c’è da entusiasmare il pubblico più severo e sincero: quello dei bambini. Ma Daniela è convinta che sia la magia (oltre che la scienza) a fare da regista allo spettacolo più vivace che ci sia. Quello che mette in scena le nostre profonde (e visibilissime) debolezze, manie, paure. Quello che mette in scena la nostra anima Quando il suo camper giallo attraversa le città, i bambini gli fanno ciao. Spesso lo scambiano per lo scuolabus, e salutarlo diventa istintivo, un obbligo suscitato dal piacere dell’incontro. Il camper giallo di Daniela Castiglione – professione burattinaia – in genere parte da Pieve di Soligo e arriva dove la magia chiama. La piccola piazza di un paese sugli Appennini, il centro storico di una città pugliese che ha organizzato un festival di figura, la scuola di un suburbio napoletano, un teatro ligure… Nel camper giallo Daniela viaggia sola. In apparenza. Con lei c’è un teatrino e soprattutto una grande valigia. La valigia sonnecchia mentre il camper macina chilometri, ma l’udito della fantasia sentirebbe mille voci provenire da lì. Voci che hanno toni e timbri e accenti e cadenze diversi. Voci che hanno la voglia dolcemente prepotente di raccontare storie. Così quando Daniela arriva a destinazione e finalmente apre la grossa valigia, le voci si stiracchiano e prendono forme straordinarie e fisionomie di personaggi in cerca d’amore. O attenzione, o sorrisi, o espressioni sorprese. Comunque di emozione. “Quando tiro fuori i miei burattini dalla valigia – dice Daniela – li abbraccio con gratitudine. Per la gioia che danno. Perché grazie a loro faccio un lavoro meraviglioso.” Originaria di Genova, Daniela Castiglione risiede in Veneto da oltre trent’anni. Dopo la maturità ha frequentato l’università a Padova (si è laureata in Lettere col professor Artioli) e proprio nella città patavina ha iniziato a fare teatro. “Sulla strada – precisa -. Con il Living Theatre e il Teatro dell’Oprimido ho scoperto il piacere della rappresentazione, il piacere di trasformare uno spazio normale in qualcosa di non normale. Di veicolare messaggi politici o sociali sulle ali della fantasia”. Si tratta di una riscoperta in realtà. Perché la passione per il teatro questa straordinaria burattinaia l’aveva intuita da piccola, quando a casa trasformava lo stipetto della credenza in un teatrino dove animava oggetti quotidiani, o quando – a quattro anni – in una fiera di paese illuminata da fuochi d’artificio anziché stare a naso all’insù scrutava il piccolo teatro di burattini allestito nel parco. Poco dopo, incontrando Ciccio, un vecchio cantastorie napoletano che si esibiva ad Alassio, gli ha chiesto “Posso mettermi accanto a te a raccontare una storia?”. Per Daniela è stato il primo passo. Verso la felicità. E la libertà di fare quello che le era congeniale. Nel ’95 con Claudio Valese ha fondato il ‘Teatrino del paradiso blu’, dal ’97 è diventata burattinaia solista della ‘Fiaberie’. In seguito ha collaborato con Alberto de Bastiani e Gigio Brunello, con l’Associazione ‘La casa di Arlecchino’ di Treviso, ‘I piccoli di Podrecca’ di Trieste. Come burattinaia solista ha frequentato i principali festival di teatro di figura. Con un’attenzione particolare ai temi sociali e politici. Ha portato i suoi burattini alle Vele di Scampia, negli ospedali con la Fondazione Abio, tra i terremotati dell’Aquila. Come narratrice ha collaborato con la Casa editrice Carthusia e Emergency. E nel frattempo ha anche pubblicato un libro straordinario: Ai piedi di Santiago, edizioni Ediciclo.
Daniela, che cosa ti spinge a fare la burattinaia?
Una grandissima voglia di condividere qualcosa che si sente bello, che ha una carica rivoluzionaria, che fa cambiare. La voglia di raccontare con i burattini e quella di viaggiare per nuove città e terre. Molte delle mie regie si sono sviluppate con l’aiuto del pubblico e questo ha permesso di non perdere mai di vista la necessità di regalare realtà ‘fatte della stessa sostanza dei sogni’, e l’imprescindibile bisogno che vita e poesia si compenetrino.
Quanto ti senti libera nel tuo lavoro?
La libertà nel mio lavoro è la caratteristica fondamentale che mi ha portato a sceglierlo e fin dall’inizio mi ha ‘incantato’ il rapporto stretto con il pubblico, che ti dà gioia, energia. La libertà per me è anche avere del tempo libero, potere dire sì o no. Soprattutto la libertà per me è viaggiare, spostarmi, scoprire nuovi luoghi, persone e modi di vivere che sono magari diversi dai miei.
Sei una delle poche burattinaie soliste (in Veneto oltre a te ricordiamo Lucia Osellieri e Lucia Schierano): è più complicato per una donna fare la burattinaia? in questo settore il “genere” è un ostacolo o no?
Non siamo tante burattinaie soliste, in effetti. Ma non ho avuto difficoltà nell’essere donna e burattinaia. Forse a volte l’unica difficoltà è la fatica fisica (viaggiare, caricare e scaricare i materiali, fare spettacolo e poi ripetere tutto e ripartire): la cosa più importante è essere in salute. E comunque essere donna spesso aiuta: un poco per la sensibilità più sottile verso il pubblico, soprattutto dei bambini, un poco perché tutti ti vogliono dare una mano e sono gentili con te. Questo è piacevole. Solo raramente ho incontrato dei pregiudizi: persone che non credono che tu possa viaggiare per tanti chilometri da sola, o cavartela in tutto senza aiuti.
Il tuo burattino del cuore?
Per molti anni è stato Pulcinella, per lo stretto rapporto d’amore che mi lega a Napoli. In questi ultimi anni però mi sono innamorata di tutti i miei burattini: spesso li ringrazio mentre li metto in valigia per tutto quello che, grazie a loro, ho potuto avere nella mia vita. Durante il Covid invece il mio burattino-protagonista è stata la Muchina con cui ho avuto anche l’opportunità di imparare a montare dei video. Tra i burattini della Commedia dell’Arte, amo i caratteri di Arlecchino, l’eterno bambino, curioso, iperattivo, goloso e poi tenero. E anche Pantalone: il vecchio sognatore, un poco imbranato, che non ha capito di essere cresciuto e ancora si innamora come un adolescente. Non siamo un po’ tutti come loro? Ogni burattino in fondo rappresenta un aspetto dell’anima del burattinaio e questo tutti i burattinai lo sanno.
Nei tuoi spettacoli, nella loro presentazione, citi moltissimi autori: Rodari, Shakespeare, Gino Strada, Calvino, Cavalcanti…Quali sono i tuoi preferiti?
In realtà non ho un autore preferito: negli anni ho avuto tanti spunti dalla poesia con il conterraneo Montale, con Quasimodo, Luzi, Ungaretti, Spaziani, Campo….e tanti altri. Ho amato i poemi cavallereschi, la letteratura del mare (Melville, Conrad..), gli scrittori russi (terra e lingua che amo profondamente). Leggo un po’ di tutto: letteratura, poesia, fantasy, testi scientifici. A volte mi sono utili anche pessimi libri e pessimi scrittori: servono come i ‘negativi’ delle fotografie e danno un tocco di ‘kitsch’ che adoro. Sono affascinata dalla poesia che è racchiusa nella Natura e nella scienza, nella fisica. Tutto è collegato, tutto si ‘tiene’. Per esempio anche nel teatro dei burattini c’è qualcosa di ‘scientifico’ come il ‘ritmo’: certe scene funzionano solo con quel determinato ritmo, o con quelle particolari posizioni in scena: sposti una virgola e non funzionano più!
La tua associazione culturale si chiama Macchia solare: perché questo nome?
Il nome dell’associazione è nato in una notte padovana. Io e Claudio, il mio caro amico burattinaio, avevamo deciso di fondare un’associazione per creare tanti eventi e per portare avanti il nostro neonato teatro dei burattini. Ma non sapevamo che nome dargli. C’era un libro sul tavolo, di Guido Ceronetti. Dissi a Claudio “Apri una pagina a caso” e trovammo la citazione – credo fosse di Goethe – che diceva “Solo il sole ha diritto alle sue macchie”. Così è nato il nome Macchia Solare.
Fin da piccola avevi la passione per il piccolo teatro, la drammatizzazione…ma burattinaie si nasce o si diventa? E come?
Tutte e due: si nasce e si diventa. Perché è una passione innata, una sorta di attrazione verso le ‘figure’ che non sono attori in carne e ossa, ma degni ‘sostituti’. Personalmente per me l’attrazione verso i burattini è nata osservando un teatrino di ‘automi’ quando avevo quattro anni a una fiera a Sestri Levante, vicino al mare: il movimento di queste piccole figure, che si attivavano insieme alla musica, dietro al vetro di una scatola magica, mi ha incantato in maniera così chiara e forte che riesco a ricordarmi ancora adesso quel preciso momento. Ma burattinaie si diventa anche: perché è un mestiere da imparare, stando a contatto con i ‘vecchi’ burattinai, costruendo, provando e poi facendo tanta strada insieme al pubblico. La dimensione della fantasia ha portato Daniela a “uscire” dalla sua casa di Pieve di Soligo – dove le fanno compagnia la gatta “parlante” Rotolona, cesti di frutta che contengono libri, stanze che non hanno pareti ma echi di storie – anche durante la pandemia. Uno dei suoi burattini, una mucca realizzata per drammatizzare la Beffa delle vacche – un evento storico realmente accaduto a Pieve di Soligo durante il fascismo – è diventata “la Muchina”, il personaggio protagonista delle 15 puntate di Fiabavirus che Daniela ha postato su youtube durante il lockdown per intrattenere i bambini. “A dare il nome al burattino è stato un gondoliere veneziano, alla vigilia di un periodo che ci ha visti relegati tra quattro mura. Dal mio salotto, anche collegandomi con amici musicisti – mi piace molto fare spettacolo con accompagnamenti musicali dal vivo – ho proposte storie che avevano come protagonisti anche i miei burattini: il Mostro Mangiacolori, Arlecchino, Pantalone, Pulcinella, Capitan Fracassa, il gattone della Tasmania… Beatamente accovacciati nella valigia dentro il camper giallo, alla fine dell’incontro con Daniela, sono questi stessi burattini a dirmi Arrivederci! e – se non ho capito male – anche qualcosa del tipo Non sforzarti, Emanuela, di parlare di noi: siamo in grado di farlo da soli. E molto meglio di te.