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La disobbedienza ecologista e il muro di gomma della politica

Ha ragione il direttore di Domani a denunciare il vero scandalo della disobbedienza di Ultima generazione: la risposta repressiva della politica italiana è ben più sconcertante delle azioni di disobbedienza.

Ma ha anche ragione Gianfranco Pellegrino nel dubitare che azioni di un’avanguardia possano muovere il corpaccione di una maggioranza inerte e inebetita di fronte a quello che è e sarà il problema degli anni a venire.

Manca, come ha rilevato Ferdinando Cotugno, la mediazione della rappresentanza politica.

La domanda impellente, che intreccia la cronaca quotidiana con le grandi questioni del nostro avvenire, ripropone un vecchio dilemma: in che modo le azioni di un’avanguardia possono essere efficaci di fronte a un problema che richiede cambiamenti di vasta scala del nostro modo di vivere?

Questa domanda non è nuova e attraversa tutti i movimenti, di cui quello ecologista è l’ultimo in ordine di apparizione: dalle lotte di liberazione coloniale ai movimenti civili contro la discriminazione, dal femminismo di tutte le generazioni sino alle battaglie più recenti per i diritti di gay, lesbiche e trans.

Di fronte a questioni urgenti e sistemiche, i movimenti che talvolta violano la legge sembrano proporre delle fughe in avanti che non sempre vengono capite dalla maggioranza.

Ma le azioni dimostrative nei musei o nei luoghi della politica nazionale sono azioni puramente simboliche per risvegliare la coscienza della maggioranza.

Le iniziative solo apparentemente scandalose sono tutt’altro che radicali e problematiche in sé, poiché, almeno in Italia, non hanno portato a significativi danni a cose, né tantomeno a persone.  

Eppure, la gravità del problema potrebbe far ritenere necessarie azioni anche più eclatanti, come ad esempio i sabotaggi invocati da Andreas Malm.

Ma una serie di ricerche portate avanti da Erica Chenoweth sulla resistenza e disobbedienza civile ha dimostrato che i movimenti sociali più efficaci sono stati quelli non violenti e inclusivi.

Sembra un’ovvietà nelle nostre società democratiche, ma la pratica della non violenza non è solo più corretta moralmente, ma è anche più efficace, persino di fronte a regimi oppressivi, poiché riesce a includere il maggior numero di persone.

Invece, i movimenti più settari e violenti non riescono a convertire chi sembra essere avvantaggiato dallo status quo.

Come conciliare allora il bisogno di scuotere le coscienze, che le azioni dimostrative per ora non hanno scalfito, con la necessità di una diffusione su larga scala?  

La sordità politica potrebbe portare acqua al mulino delle proteste: mostrando l’assoluta sproporzione tra la natura sostanzialmente innocua della disobbedienza e le risposte feroci evocate dai politici di destra, si potrebbe scuotere il torpore della maggioranza.

In un mondo ideale non dovrebbe essere necessario rendere gli attivisti dei martiri ma, nella speranza che il risveglio avvenga prima della catastrofe definitiva, qualcuno potrebbe giocare anche questa carta paradossale.   

© Riproduzione riservata

Federico Zuolofilosofo

Filosofo, si occupa di filosofia politica e di etica applicata. È ricercatore presso il Dipartimento di Lettere, Filosofia e Storia dell’Università di Genova.

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