Hi, what are you looking for?
Spettacoli
RECENSIONE – Il 26 marzo sono cominciate le rappresentazioni del dramma lirico del compositore francese, assente nelle programmazioni delle stagioni veronesi da ben 45 anni
Werther, Teatro Filarmonico, Verona 2023 (foto Ennevi)
RECENSIONE – Il Werther di Jules Massenet al Filarmonico di Verona: una novità, considerato che la precedente unica rappresentazione nella città scaligera risale al 1978. E decisamente una bella novità, vista la qualità dell’allestimento creato da Stefano Vizioli nel 2020.
Allora le complicazioni create dalla pandemia avevano inevitabilmente condizionato alcune scelte della regia, ma Vizioli ha saputo fare di necessità virtù, facendo in modo che tali scelte, imposte da motivi extra artistici, fossero comunque in piena sintonia con il dramma musicale.
Ne è un chiaro esempio la scena del bacio disperato tra Werther e Charlotte, che qui diviene un non-bacio, dove proprio l’assenza di contatto fisico finisce con il simboleggiare l’impossibilità dell’incontro fra due anime gemelle, che è il cuore del dramma di Massenet.
La storia, tratta dal romanzo epistolare di Wolfgang Goethe I dolori del giovane Werther, gira attorno alla dinamica dell’amore non risolto e non risolvibile, con i protagonisti che manifestano con grande trasporto i propri stati d’animo, a ricordarci che il testo a cui si ispira l’opera è il simbolo del Romanticismo. I pochi altri personaggi e accadimenti fanno giusto da contorno.
Il libretto, che per forza deve fare sintesi, risulta ancora più scarno, giusto il minimo per poter raccontare in breve una storia dove sostanzialmente succede una cosa sola. Eppure, il tutto è estremamente gradevole, grazie a una musica che ha una sua personalità, varia ed efficace, originale ma anche ricettiva nei confronti di influenze esterne, a cominciare da quelle wagneriane, con l’abilità di guardare al nuovo senza costringere l’orecchio ad uscire troppo dalla sua zona di comfort.
Ma nel caso specifico, occorre tornare a dare merito alla regia, che fa del suo meglio per permettere a tutti di partecipare al gioco scenico, dove movimenti, controscene, gesti non sono affidati al caso. E a proposito di gioco, come non apprezzare quello dei bambini, tra l’altro bravi cantori del coro di voci bianche A.LI.VE.preparati da Paolo Facincani, che riempiono e animano la scena con naturalezza e brio?
Interessante anche la scelta di iniziare e finire l’opera con una scena bitemporale, in cui una ormai anziana Charlotte ricorda e rivive il momento in una sorta di flashback, dove il contatto con l’amato mai avuto è ancora una volta impedito dalla barriera del tempo, che sulla scena è un tulle nero che separa i due e attraverso il quale passano solo i ricordi e i rimpianti.
Bella la scenografia di Emanuele Sinisi, una scatola bianca che pare fatta di grandi fogli di carta, sui quali infatti scorrono le parole chiave riprese dal testo nei momenti salienti e le immagini in movimento di Imaginarium Creative studio.
Similmente le luci di Vincenzo Raponi creano forti contrasti tra bianco e colori accesi. Quanto basta per ridurre davvero al minimo la necessità di elementi scenici del quotidiano. D’effetto anche i costumi d’epoca di Anna Maria Heinreich, che in quella cornice danno l’impressione che personaggi antichi abbiano viaggiato avanti nel tempo.
Sul fronte musicale le cose sono state altrettanto soddisfacenti, a cominciare dalla prova dell’orchestra della Fondazione Arena di Verona, dalla quale il direttore Francesco Pasqualetti ha saputo ricavare gli impasti sonori e i volumi più adatti.
Apprezzabili per qualità vocali e sceniche gli interpreti maschili: Gëzim Myshketa (Albert), Youngjun Park (Le Bailli), Matteo Mezzaro (Schmidt), Gabriele Sagona (Johann). Buona anche la prova delle due interpreti femminili: Chiara Tirotta, che è stata una Charlotte vocalmente corretta e scenicamente efficace nel trasmetterne il tormento interiore, e soprattutto Veronica Granatiero, vocalmente molto presente e assai credibile, grazie anche al suo physique du rôle, nei panni della sorellina Sophie.
Nel ruolo del titolo, il tenore Dmitry Korchak ha fatto un’ottima impressione, per quanto un po’ statico scenicamente, grazie a una voce dal timbro cristallino e robusto, ma anche in buon controllo nella mezza voce. Si può dire che dall’inevitabile confronto con il grande Alfredo Kraus, considerato il Werther per eccellenza, non ne è uscito affatto male.
Una rappresentazione molto gradita, così come lo è stata la scelta della Fondazione Arena di Verona di inserire questo titolo nella stagione 2023 del Teatro Filarmonico.
Paolo Corsi
Paolo Corsi è nato a Verona e vive in provincia di Trento. È attore, autore e critico teatrale. Da sempre appassionato d’opera, ha studiato canto e si è esibito come solista e in varie formazioni corali, partecipando come corista ad alcuni allestimenti di opere di Verdi, Rossini e Mozart. www.paolocorsi.it – posta@paolocorsi.it