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Il nuovo Brexit Deal: cosa cambia e perché è un bel colpo per Sunak – Daniele Meloni

Cambia tutto in Irlanda del Nord. O quasi. Il premier Rishi Sunak era a Belfast martedì per esporre il nuovo Windsor Framework che ha rivisto i rapporti tra il Regno Unito e l’Unione europea sulla spinosa questione nordirlandese.

Il nuovo accordo

Downing Street ha lanciato l’offensiva per sostenere la bontà dell’accordo che crea, finalmente per il Regno Unito, una corsia veloce per le merci in transito tra Belfast e il resto dell’isola, una maggiore compattezza territoriale per quest’ultima e la possibilità per Stormont – il parlamento nordirlandese – di porre il veto su alcune norme della legislazione europea che interessano l’Ulster.

La presidente della Commissione, Ursula Von der Leyen, scesa a Londra per firmare il deal, ha anche affermato che il risultato normalizza i rapporti tra Uk e Ue e ristabilirà la presenza di Londra nel programma europeo Horizon2020, volto a sostenere la ricerca scientifica nello spazio (come già peraltro previsto dal Free Trade and Cooperation Agreement del 2020).

Il successo di Sunak

Sunak ottiene un risultato che lo rilancia nel Paese e nel partito. In molti in casa Tory hanno sottolineato la sua capacità negoziale e come il suo deal sia molto migliore di quello firmato da Boris Johnson nel 2019.

Il ministro degli esteri Cleverly e tre ex ministri per la Brexit – David Davis, Dominic Raab e Stephen Barclay – sono intervenuti sui quotidiani britannici per sostenere Downing Street. L’ex premier Theresa May lo ha elogiato in aula e anche l’arci-brexiteer Steve Baker, che è anche Minister per l’Irlanda del Nord, ha parlato con toni commossi della “fine di un’ordalia di 7 anni”.

Altri due ex premier, Boris Johnson e Liz Truss, non si sono ancora espressi. In molti vedono nel nuovo Windsor Framework la tomba delle speranze di un clamoroso ritorno di BoJo, che, pochi giorni fa, aveva messo pressione su Sunak sul tema.

Questioni irrisolte

È tutto rose e fiori per il numero 10 di Downing Street? Certamente no. Che Partito Conservatore sarebbe altrimenti? La destra Tory aspetta ad esprimersi. Il chairman dello European Research Group (ERG), Mark Francois, ha affermato che il caucus – che conta una sessantina di deputati a Westminster – si prenderà tutto il tempo dovuto per studiare il nuovo accordo.

La questione irrisolta parrebbe essere quella del ruolo della Corte di Giustizia Europea nel risolvere le controversie sul deal. Sarà difficile anche per lo ERG rifiutare l’accordo dopo avere votato quello di Johnson di tre anni fa che prevedeva controlli doganali nelle merci nel Mare d’Irlanda.

I dilemmi degli unionisti

C’è poi l’aspetto legato agli unionisti del Dup, i più scettici sulla soluzione. Il loro leader, Sir Jeffrey Donaldson, è stato avvistato alla riunione dello ERG nei giorni scorsi: “L’accordo risolve alcuni problemi ma altri suscitano perplessità”, ha detto Donaldson.

Anche per il Dup il sentiero del rigetto è comunque molto stretto. La disaffezione crescente nei confronti della madrepatria londinese – un fatto che si è consolidato con la Brexit ma che data, almeno, dal Sunningdale Agreement del 1973 – non può ovviamente trasformarsi in rottura definitiva.

A cosa servirebbe un unionismo in contrasto assoluto con il governo UK? Allo stesso tempo un ok al Windsor Framework rimetterebbe in moto la procedura per ridare funzionalità a Stormont e la nascita di un nuovo esecutivo nella quale gli unionisti sarebbero – per la prima volta nella storia – i junior partner dei nazionalisti irlandesi del Sinn Fein

Donaldson sa che nel campo unionista, l’Ulster Unionist Party (UUP) e il Traditional Ulster Voice (TUV) sono pronti a presentare una sua investitura dell’accordo come un cedimento per recuperare la primazia nella comunità unionista – è il caso dell’UUP – o per conquistarla, come nel caso del TUV.

L’integrità del Regno

Dopo le dimissioni di Sturgeon da First Minister scozzese e l’accordo sull’Irlanda del Nord, il Regno Unito sembra uscire rafforzato nella sua integrità territoriale.

Il nazionalismo scozzese ha le armi spuntate dalla decisione dell’Alta Corte britannica di negare un secondo referendum per l’indipendenza, mentre il Sinn Fein – che continua a predicare l’unita dell’Irlanda – si ritroverà a fare i conti con la prima prova di governo della sua storia, con un elettorato sempre più variegato e transconfessionale e con Dublino che, sondaggi alla mano, non pare disposta a pagare la riunificazione con le 6 contee del nord. 

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