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Figli di un dio minore: uscire dalla retorica emotiva progressista – Maria Alessandra Varone

Colpiscono le parole pronunciate dal presidente del Consiglio Giorgia Meloni nel decennale di Fratelli d’Italia: “Questo governo è il riscatto di tante persone che per anni erano considerate figlie di un dio minore, e che non si sono mai arrese”.

In questa dichiarazione sentita, e nella quale la platea si è riconosciuta con commozione, c’è una grande verità: il peso della propagandistica condanna morale del centrodestra, che per anni ha influenzato le generazioni più giovani, inducendo in loro un senso di imbarazzo, quasi di vergogna.

La retorica antifascista

Il progressismo ha costruito questa portentosa cattedrale sulla retorica emotiva dell’antifascismo, del quale si è autoincoronato unico erede e con cui ha mistificato la parte di patrimonio che spetta di diritto storico anche alla destra, relegando a quest’ultima, come unico retaggio, il fascismo.

Lasciando da parte ogni riferimento ideologico, perché “le idee in quanto tali viaggiano senza etichetta”, come soleva dire il filosofo liberale Isaiah Berlin, occorre ricordare le due componenti fondamentali che, da comune accordo di illustri storici del Ventennio, hanno caratterizzato de facto il fascismo: il proporsi come movimento extraparlamentarerivoluzionario e l’impiego di squadre armate come parte integrante della sua identità politica.

Neanche uno di questi due elementi corrisponde non solo alla destra e al centrodestra odierni, ma nemmeno a quelli storici, i quali, per giunta, sono sempre stati per la via riformista-parlamentare.

Il potere della narrazione

Preoccupante, oggi, è il fatto che una ovvietà del genere debba essere continuamente ribadita, specie tra i più giovani, perché è avvertita, nel confronto con l’altro, la necessità di autogiustificarsi.

I professori Anthony Pratkanis e Elliot Aronson, in un libro del 1996 che ormai ha fatto scuola, “Psicologia delle comunicazioni di massa”, commentando uno spot pubblicitario che faceva dipendere la capacità nutritiva dal nome del dolce piuttosto che dal dolce in quanto tale, hanno affermato, con parole sempre attuali:

La storiella è divertente perché sappiamo tutti che cambiando nome ai dolci non li trasformiamo certo in cibo nutriente. Eppure questo è per l’appunto ciò che pubblicitari ed esperti della politica fanno ogni giorno con grande successo per i loro prodotti. Sanno che la lingua permette una vasta libertà nell’uso e nell’interpretazione, e tale libertà può essere utilizzata a fini persuasivi. In tali casi, l’oggetto della loro barzelletta siamo noi.

Ecco fin dove può arrivare il potere di una narrazione falsata: alla mistificazione, che è esattamente quanto accade in Italia da decenni quando si toccano determinati argomenti o ci si rivolge ad una certa ala parlamentare. Una situazione, questa, che non può che creare ingiustizie.

Doppio standard

Sempre al decennale di Fratelli d’Italia, è stato richiamato da Fabio Roscani, presidente di Gioventù Nazionale, il caso della Sapienza occupata a ottobre, il quale è emblematico. I giovani studenti occupanti, tra le tante cose, hanno rimproverato agli organizzatori dell’ostacolato convegno l’assenza di un contradditorio. Eppure, in seguito è stato invitato a parlare nella stessa università il deputato del Pd Aboubakar Soumahoro, anch’egli senza contraddittorio.

Ma ciò non ha rappresentato un problema neanche per un secondo, perché la polarizzazione della narrazione crea due pesi e due misure. Direbbe Orwell: siamo tutti uguali, ma alcuni sono più uguali di altri. Oppure, direbbe il presidente Meloni: figli di un dio minore.

Questo è grave in una Repubblica, in quanto additare delle idee, emettere un giudizio morale su una persona nella sua interezza per esse, più che per le sue azioni quotidiane, è indegno in genere, figuriamoci, poi, in uno Stato libero. Condizione fondamentale per la libertà, da che mondo è mondo, è il dialogo; che, a sua volta, impone una regola tacita ma puntuale: che si sia alla pari.

Centralità dell’individuo

Anche perché l’importanza dell’individuo nella sua singolarità, nella sua concretezza, trascende il velo ideologico. Esso si impone, è prorompente, e lo mostra bene Victor Hugo in “Novantatré”: all’inizio del romanzo, il battaglione rivoluzionario di Parigi si addentra in Bretagna, nel bosco di Saudraie; lì, la vivandiera trova una donna con i suoi figli, in fuga dagli scontri armati. Tra le tante domande incalzanti, il sergente ad un certo punto le chiede: “sei per i blu o per i bianchi? Con chi stai?”; ed ella risponde: “con i miei figli” e segue una pausa, il silenzio, perché vengono ristabilite delle priorità prima sovvertite.  

Il dialogo deve essere la pietra su cui edificare tutto, ed è necessario sapere che ciò è ancora possibile, superando, non senza fatica, gli ostacoli della retorica emotiva in cui siamo immersi, che solo con pazienza, rispetto e cultura può essere, se non eradicata, quantomeno sfrondata.

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