«La Annunziata sbotta? Nella Rai dei miei tempi non sarebbe successo»
La Verità, di Giulia Cazzaniga, pag. 15
Gli domando se abbia il desiderio di fare questa intervista, e si sincera che non si voglia parlare solo della sua malattia. «Me lo chiedono in troppi, sarà che il dolore è diventato una moda. Vedo gente nei talk a parlare dei guai di salute che ha avuto… So che fa parte della vita, e so pure che la drammatizzazione attira il pubblico, penso però che la comunicazione debba avere, anche, un ruolo consolatorio». Giancarlo Magalli, oltre 50 anni di carriera in Rai, qualche settimana fa ha raccontato di aver affrontato un linfoma alla milza. Non si fosse curato, rischiava di avere due mesi di vita. Ha perso 24 chili, ora li sta riprendendo: «Grazie a Dio ho ricominciato a mangiare, muovermi e camminare dopo sette mesi a letto».
È pronto per tornare in tv?
«Vediamo, intanto mi voglio riprendere al meglio e non posso affrontare sfide impegnative. Mi piacerebbe fare ad esempio la giuria in qualche programma divertente, o l’opinionista…».
In Rai o in Mediaset?
«La Rai è casa mia da sempre. L’anno scorso ho parlato con Alfonso Signorini per fare l’opinionista in studio al Grande Fratello, sarebbe stato divertente, vedremo cosa succederà per la prossima edizione».
Potrebbe anche entrare nella casa del Gf?
«No, mi spiace, neanche per tutto l’oro del mondo».
Non è la sua tv?
«Tanto è cambiato, da quando ho cominciato. Penso però che la possibilità di fare bene ci sia ancora. Oggi si cerca lo scandalo a tutti i costi, peccato che mandare in onda unmatto che dice parolacce non sia difficile. Lo è, invece, trovare uno che sia bravo e scrivergli cose belle da dire. Per quanto riguarda il Grande Fratello, mi sembra che qualcosa da ridire l’abbia avuta anche Pier Silvio Berlusconi, no? Vuole ripulire dalle volgarità, e sarebbe una bella vittoria».
Una parolaccia è scappata pure al Lucia Annunziata. Non le è mai successo in tanti anni in onda?
«Mai, ma che scherza? Sono nato in un’epoca in cui già dire “casino” era da tirata d’orecchi. Nella Rai in cui lavoravo si è eleganti e professionali».
Perché è servizio pubblico?
«Lo stile era, semplicemente, questo: ci si diceva che le cose andavano fatte per bene, ci si raccomandava che non ci fossero vallette seminude o sederi di fuori… e poi quando il programma andava bene ma faceva un punto in meno della concorrenza qualcuno ipotizzava che un sedere si sarebbe potuto pure mettere» (ride).
Ha lavorato per tanti anni come autore, oltre che conduttore. Cosa le piace e cosa proprio no, di quel che vede oggi?
«Mi piacciono i documentari, le fiction di qualità, programmi come Pechino Express e qualche quiz: le cose buone ci sono. I talk sono però decisamente troppi. E si chiamano “format” anche quelli dove c’è semplicemente qualcuno a fare le domande a qualcun altro… mah. Ma il varietà la mia grande passione, e purtroppo non se la passa bene».
Ha perso smalto?
«E un po’ scaduto, si. Prima si faceva con molta cura, il varietà. Una puntata cominciava alle 20:30 e finiva alle 21:2o: quei cinquanta minuti erano provati e registrati per un’intera settimana. Prenda il balletto: ora lo hanno tolto, per risparmiare, ma era centrale. Per cinque minuti di messa in onda servivano un giorno di registrazione e tre di prove. Lo spettacolo, allora, doveva essere perfetto. Non è un caso che quando propongono qualche amarcord piaccia ancora e tanto».
Di chi è colpa se si peggiora?
«Sarà che registi alla Antonello Falqui non ce ne sono più. O dirigenti come Giovanni Salvi, Bruno Voglino, Emmanuele Milano… Ora la tv è fatta da manager che per lo più guardano a spendere poco e far quadrare il bilancio, e rinunciano a cose belle. Dal balletto ai costumi, alle scene».
D’altra parte, per la Rai, sono soldi pubblici…
«Lo erano anche una volta. I programmi erano meno. Costavano, ma si facevano meglio. Si creavano, non si compravano dall’estero».
Ora c’è una concorrenza spietata.
«L’ascolto si è polverizzato. Ai Fatti vostri vent’anni fa facevamo quasi 1140% di share. Ora se Rai 2 fa il io si fanno salti fino al soffitto».
Non è che la lottizzazione politica ha contribuito?
«Mah, guardi che la Rai è sempre stata dipendente dalla politica. Continuiamo a cambiare governo e ogni volta si ricomincia: nuovi dirigenti che devono imparare dal principio. Io sono entrato in Rai ai tempi della Democrazia Cristiana, ed Ettore Bernabei non faceva certo un segreto di esser stato messo li da Amintore Fanfani».
Poi furono i socialisti…
«E non fu un bel periodo, perché arrivarono con la consapevolezza che non sarebbero durati molto e hanno occupato tutto, hanno fatto il sacco di Roma. Poi ci sono stati i radicali, i comunisti, e di nuovo i democristiani…».
E lei sempre li.
«Mi sono sempre salvato perché lavoravo bene. Si ricorda cosa diceva Enzo Biagi? Dobbiamo prenderne uno democristiano, uno socialista, uno comunistae uno bravo. Ecco io ero quello li, quello bravo e senza tessera politica. La politica non fa bene alla tv perché il turnover impazzito non dà modo di fare esperienza. Ora chi sta li sa che dovrà andarsene, e succede ogni due o tre anni».
Non sotto la torre di Cologno dei Berlusconi.
«Hanno il vantaggio di esser sempre gli stessi, si. Oggi è una realtà molto professionale. Agli inizi no, la guardavo con terrore e non mi piacevano le veline attira-pubblico».
(Continua su La Verità)
(Nella foto Giancarlo Magalli)