BERTIN (ASCOM CONFCOMMERCIO): “NON CI FACCIAMO ILLUSIONI, MA ALMENO RIFLETTORI PUNTATI SUL FATTO CHE I BIG TECH PAGANO TASSE IRRISORIE”
Nuova puntata dello scontro tra i grandi del web e il sistema fiscale italiano.
Nello specifico, a contestare a Mark Zuckerberg e alla sua Meta (ovvero Facebook, Whatsapp e Instagram) qualcosa come 870 milioni di euro di evasione Iva è la procura di Milano che ha aperto un fascicolo.
“La notizia in sé – commenta il presidente dell’Ascom Confcommercio di Padova, Patrizio Bertin – non deve suscitare soverchie illusioni. Sono anni che andiamo sostenendo che i grandi operatori del web fanno una concorrenza sleale alle nostre attività, ma finora hanno sempre trovato il modo per non pagare o pagare cifre irrisorie. Però un plauso ai magistrati milanesi e alla Guardia di Finanza che hanno messo nel mirino la “gestione creativa” di Meta, va fatto e, indipendentemente dai risultati che potranno essere conseguiti nell’occasione, è importante che i riflettori rimangano puntati sulla questione”.
La cifra contestata alla sede irlandese del gruppo (l’Irlanda è la “testa di ponte” di molti di questi giganti per evitare di pagare tasse nei singoli Paesi dell’Unione), si riferisce alla mancata presentazione della dichiarazione dell’imposta sul valore aggiunto da parte del colosso dei social dal 2015 al 2021. Gli accertamenti delle Fiamme Gialle hanno portato a un’ipotesi investigativa per molti versi innovativa: l’Iva non versata riguarderebbe infatti l’iscrizione degli utenti sulle diverse piattaforme social.
“L’ipotesi – continua Bertin – è decisamente interessante perché si basa sul fatto che pur essendo le iscrizioni gratuite, in realtà l’utente paga una sorta di “provvigione in natura”: ossia mette a disposizione i propri dati personali con tanto di potenziale profilazione. Questi dati vengono poi o ceduti a terzi per operazioni di direct marketing, o anche utilizzati in prima battuta dagli stessi social network: un’operazione di permuta che porta a incassi oltre che a ricavi pubblicitari”.
Per cui, per la procura meneghina, deve essere pagata l’Iva.
Diametralmente opposto, e non poteva essere altrimenti, il giudizio dei legali di Meta che negano che possa esistere un nesso diretto tra i dati forniti dagli utenti e l’accesso alla piattaforma: in assenza di tale nesso diretto, l’Iva non sarebbe dovuta.
“Il problema – conclude Bertin – è che la tecnologia è avanti anni luce rispetto alle norme e questo finisce per penalizzare le attività tradizionali o che, comunque, svolgono attività per così dire “normali”. Le nostre speranze, per cercare di rimettere un po’ d’ordine, è affidata alla Global Minimum Tax che entrerà in vigore l’anno prossimo”.
In effetti, dal 1° gennaio 2024 entrerà in vigore la tassa europea per cui le multinazionali non potranno mai più pagare meno del 15% di tasse sul reddito prodotto all’interno dell’Unione europea. La mancanza di una tassa come questa, pubblicata in Gazzetta ufficiale dell’UE solo lo scorso 22 dicembre, ha fatto sì che multinazionali oltreoceano come Amazon, Google, Meta ed Apple, si arricchissero sulle spalle del nostro continente. L’arrivo di questa tassa, quindi, porterebbe ai Paesi europei un maggiore introito per sostenere le imprese del territorio. Una buona notizia per il tessuto economico europeo.
PADOVA 28 FEBBRAIO 2023