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I 6 vantaggi del Superbonus (e l'esempio del contadino)

Prima il ministro Giorgetti e ora il presidente del consiglio Meloni insistono sulla necessità del decreto-legge approvato dal governo che impedisce la cedibilità dei crediti fiscali. La misura del Superbonus sarebbe sinora costata 2000 euro a ogni italiano. Nel nostro articolo precedente ci siamo chiesti se siamo di fronte a quella che John Maynard Keynes chiamava la “parodia dell’incubo di un contabile”. Cerchiamo con due semplici esempi di spiegare il nostro punto di vista.

I bonus hanno generato un deficit per lo Stato di 110 miliardi di euro, che divisi per 59 milioni di abitanti in Italia, fanno effettivamente poco meno di 2000 euro a testa. Si tratta di minori entrate per lo Stato, non necessariamente di un costo per i cittadini. Anche perché a fronte di questi bonus sono stati emesse fatture che invece hanno generato maggiori entrate. Ma di questo non parlano né Meloni né Giorgetti. Ci si concentra sull’albero e non si vede la foresta.

Superbonus, l’albero e la foresta

Esiste l’albero del deficit per lo Stato, pari a 110 miliardi di euro, peraltro distribuito su 5 anni, cioè un mancato gettito da 22 miliardi di euro all’anno, di cui una parte già rientrati negli anni scorsi.
Ci sono però anche molti altri alberi della foresta, che producono solo vantaggi per lo Stato e soprattutto il 1° anno. Qui un elenco:

  1. l’albero dell’economia diretta, perché a fronte di questi bonus sono state emesse fatture per 110 miliardi di euro, che hanno generato il pagamento subito di Iva e tasse varie per almeno il 30%, cioè 33 miliardi di euro, che generano maggiori entrate fiscali;
  2. l’albero dell’economia indiretta, perché le imprese che hanno eseguito i lavori avranno sicuramente pagato i propri dipendenti e fornitori, con altre Iva, tasse e contributi da pagare, aumentando ulteriormente le entrate;
  3. l’albero dell’economia indotta, perché i dipendenti poi devono vivere e quindi spenderanno i loro soldi, generando altra Iva, tasse e contributi da pagare, aumentando ulteriormente le entrate;
  4. l’albero dei lavori non agevolati, perché non tutti i lavori che si fanno sono agevolati; quindi, anche i lavori non agevolati ma necessari o stimolati dall’incentivo, generano altra Iva, tasse e contributi da pagare, che aumentano ulteriormente le entrate;
  5. l’albero dell’incremento dell’occupazione, che genera minori costi per lo Stato a sostegno dei disoccupati;
  6. l’albero degli effetti macroeconomici, perché aumentando il PIL senza aumentare il debito pubblico, migliorano i parametri di Maastricht complessivi e si riducono i costi del rifinanziamento del debito.

Se andiamo a valutare tutta la foresta, scopriamo che i vantaggi oggi del Superbonus 110% coprono ampiamente gli svantaggi futuri, proprio perché quest’ultimi sono distribuiti nel tempo, mentre i vantaggi si hanno subito. Un governo intelligente lo renderebbe strutturale in modo da avere ogni anno i maggiori gettiti generati dai nuovi bonus, che compensano i minori gettiti futuri, generati dai bonus degli anni precedenti. Ma se li blocchi, avrai solo minori gettiti fiscali. Insomma, ti dai la zappa sui piedi. Questo modo di dire ci spinge ad un altro esempio.

Un contadino deve affrontare la spesa per comprare le piantine da utilizzare nelle sue serre per produrre ortaggi, ma non ha soldi a disposizione. Trova un fornitore che gli dà le piantine con un pagamento agevolato in 5 rate annuali per 5 anni, così il 1° anno avrà il tempo di vendere gli ortaggi e di pagare anche la 1° rata con quanto incassato. Chiaramente dovrà negli anni successivi pagare le altre rate, ma se ripete tutti gli anni lo stesso investimento, il costo sarà sempre coperto dai nuovi raccolti. Il contadino dovrà solo verificare che la vendita del raccolto ogni anno sia superiore al costo delle piantine e altri costi sopraggiunti.

Per approfondire

Nel caso del Superbonus, lo Stato si trova nella stessa situazione di quel contadino, i cittadini e le imprese, a fronte di sconti sulle tasse future in 5 rate annuali, sono disponibili ad eseguire lavori, pagando Iva, tasse e contributi sulla loro attività e sull’attività indiretta ed indotta generata. Solo che a differenza del contadino, il governo, dopo aver verificato per due anni che l’investimento è conveniente perché produce un aumento delle entrate fiscali subito, decide di voler smettere di assegnare crediti d’imposta futuri perché ritiene siano un costo insostenibile.

In questo modo finisce in miseria ad elemosinare i soldi ai mercati finanziari e all’Unione Europea con il MES, diventando ricattabile e pronto a nuove politiche di austerity. È solo una ipotesi, ma le decisioni del governo non lasciano molte alternative.

Paolo Becchi e Fabio Conditi, 20 febbraio 2023

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