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Nostalgia del futuro | Il Friuli

Gorizia torna al centro dell’Europa: è un evento di portata straordinaria, ma è anche un’importante opportunità per tutto il Friuli. A sottolinearlo è Paolo Petiziol, presidente del Gruppo europeo di cooperazione territoriale (Gect) tra i Comuni di Gorizia, Nova Gorica e Šempeter-Vrtojba a cui è stata affidata la regia del grande appuntamento con il 2025, quando quella che è nei fatti un’unica città da 80mila persone diventerà Capitale europea della Cultura. L’evento, però, costituisce anche un esempio di come la collaborazione tra città, popoli e autonomie locali all’interno di quella che era chiamata Mitteleuropa rappresenti propulsore di sviluppo non solo culturale, ma anche sociale ed economico.

Lo spirito con cui si sta impegnando da quasi cinquant’anni lo stesso Petiziol, da sempre come fondatore e presidente dell’associazione Mitteleuropa, in passato come presidente di Finest e oggi anche come presidente della Fvg Orchestra.

Perché è così importante per il Friuli l’appuntamento con la Capitale europea della Cultura 2025? “Per Gorizia è un’occasione straordinaria e irripetibile, forse la più straordinaria dalla fine del primo conflitto mondiale: è un evento di portata europea. D’altronde la storia di Gorizia è europea sin dalle sue origini, intrisa com’è di radici latine, germaniche e slave. È stata parte integrante del cuore dell’Europa per quasi un millennio. Un unicum europeo che, dopo tutte le tragedie del Novecento, ha finalmente ricevuto un riconoscimento tanto meritato quanto eccezionale che può davvero sovvertire non solo la marginalità e l’isolamento di un’area cittadina transfrontaliera, ma offrire una imprevedibile opportunità a tutto li contesto regionale del Friuli Venezia Giulia e della Slovenia, le cui popolazioni condivisero per secoli, pur con idiomi diversi – friulano, sloveno, italiano e tedesco – analoga storia e destini, le tante miserie e i non certo duraturi splendori. Sarà pertanto per il Friuli un irripetibile momento per riprendere a percorrere quella stupefacente funzione d’incontro e dialogo che sia la geografia sia la storia, ma anche l’umanità e la singolare cultura di queste nostre genti, ha assegnato inequivocabilmente a questo lembo d’Europa”.

Quante persone attrarrà Go2025? “Alcuni raffronti e analisi inducono ragionevolmente a ipotizzare tre milioni di visitatori e turisti. Naturalmente è solo una stima e le ricadute sono facilmente deducibili”.

I friulani, in particolare politici e industriali, ne hanno capito l’importanza? “I friulani geneticamente non hanno la velocità e l’immediatezza nel cogliere improvvise novità che provengano dal settore pubblico, anzi sono piuttosto prudenti, ma hanno altre qualità che offrono garanzie più che sufficienti a garantire che le nostre progettualità poggiano su fondamenta solide. L’industria, e più in generale l’economia e la finanza, si muovono invece quando c’è un tornaconto. E qui il tornaconto c’è, per cui li attendo con la consapevolezza di offrire la necessaria competenza e professionalità”.

Vuole dire che con la cultura si mangia? “La cultura muove interessi economici strabilianti. Cultura ed economia vivono in simbiosi, sostenendosi a vicenda. Dove non c’è cultura c’è miseria e questo è inequivocabilmente visibile”.

Come si stanno muovendo i partner sloveni? “C’è stato qualche ritardo dovuto alle attese elettorali e ai cambiamenti politici in questo Paese, ma la collaborazione può definirsi davvero buona, amichevole e di reciproca fiducia”.

È opportuno che anche le autonomie locali, come le Regioni, facciano ‘politica estera’? “La politica estera è una delle poche materie che indiscutibilmente devono avere una regia centrale, ma anche se la regia rimane unica, non esime dal fatto che un ruolo dovrebbe esserci affidato. Noi confiniamo con la Slovenia, la Croazia è a quattro bracciate a nuoto e l’Austria è uno Stato federale, per cui anche la confinante Carinzia può agire e firmare protocolli e accordi senza chiedere alcuna autorizzazione a Vienna. Il nostro presidente, anche se deve andare a una riunione a Fiume, deve informare la Farnesina e spesso attendere anche il suo consenso. È un aspetto fortemente penalizzate per una Regione come la nostra, ma anche ad alto rischio in quanto la politica, quella vera, si muove con la stessa velocità dell’economia, per cui l’interlocutore istituzionale assente o semplicemente lento, rischia di essere soppiantato da faccendieri poco raccomandabili o del tutto impreparati. In ambedue i casi con danno per tutti”.

E allora la Regione Friuli Venezia Giulia come si comporta nei rapporti internazionali? Dovrebbe fare di più? “Fa quello che può o quello a cui raramente viene delegata dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, per esempio con la cooperazione decentrata. Sarebbe per tutti auspicabile potesse fare di più, ma bisogna metterla in grado e supportarla con strutture dedicate e personale adeguato e preparato. Un diplomatico non si diventa perché si vince un concorso: è un percorso impegnativo dove attitudine, passione, sacrificio e umiltà giocano un ruolo tanto prezioso quanto insostituibile”.

Lei è stato presidente di Finest fino al 2003, come sono cambiate le esigenze finanziarie delle nostre aziende all’estero in questi vent’anni? “Dal 2003 a oggi il mondo è cambiato almeno tre volte. Le esigenze finanziarie delle aziende hanno necessariamente dovuto velocemente adeguarsi. Causa la guerra in Ucraina stiamo ora assistendo a un ulteriore sconvolgimento, non solo energetico, ma anche industriale e finanziario. E non è finita”.

Facciamo un ulteriore salto all’indietro: lei è ‘nato’ professionalmente nel 1970 nella Banca del Friuli, cosa pensa dell’attuale scenario bancario locale? “Tuttora considero la perdita della Banca del Friuli come un fatto gravissimo che ha minato la presenza e la crescita di un sistema bancario locale atto a comprendere le esigenze e le peculiarità di un territorio. Tanto più che all’epoca, e ne parlo con cognizione di causa, la liquidità dell’istituto gli avrebbe viceversa consentito di acquisire lui il Credito Romagnolo. Ciò però ha dato il via a un rafforzamento del sistema delle Casse Rurali e alla sopravvivenza della Banca di Cividale, che anche la recente acquisizione della Sparkasse ha interesse di garantire, in quanto espressione di un territorio contiguo (il Sudtirol, ndr) e, per ambedue, a forte vocazione locale e autonomista. Per il sistema finanziario del Friuli Venezia Giulia è una garanzia non trascurabile, confermato anche dal successo dell’Offerta pubblica di acquisto”.

Lei è anche console onorario della Repubblica Ceca, come lo è diventato? “Violai per prima volta la Cortina di Ferro nel 1968 andando in auto a Berlino: Berlino Est! Nei primi Anni ’70 seguirono Budapest, Praga, Cracovia, Timisoara. Dovevo intuire che ero ‘osservato’. Durante la sua ultima visita di Stato a Roma, nell’aprile del 2002, il presidente della Repubblica Ceca Vaclav Havel mi ricevette nella sua suite dell’hotel Hassler. Eravamo lui e io da soli. Visto il clima confidenziale mi permisi di chiedergli come mai avessero scelto me per un consolato che copriva tutto il Nordest d’Italia. La risposta fu: caro dottor Petiziol, noi di lei sappiamo tutto, se non posso fidarmi di lei di chi dovrei fidarmi? Per me fu un complimento che porterò sempre nel cuore”.

Questo incarico apre più porte o crea più grattacapi? “Sicuramente più grattacapi, non per nulla si chiama ‘missione’ diplomatica”.

Dal 2019 è anche presidente della Fvg Orchestra, la diplomazia si fa anche con la musica? “La musica è uno dei più grandi strumenti di politica estera. È di un’efficacia altissima e, infatti, fu sempre usata da tutti a tale scopo. Ora anche il Friuli Venezia Giulia questo strumento ce l’ha”.

LA BIOGRAFIA. Paolo Petiziol nasce a Cervignano nel 1946. Entra in Banca del Friuli nel 1970 diventando nel corso della carriera, dopo l’acquisizione dell’istituto da parte di Unicredit, responsabile per il Nordest del servizio di ispettorato e revisione. Tra il 1999 e il 2003 è presidente della finanziaria regionale per l’internazionalizzazione Finest. È stato componente del Cda dell’Università di Udine e dal 2019 è presidente della Fvg Orchestra e dal 2020 del Gect Go. Nel novembre 1996 è stato nominato dal governo della Repubblica Ceca, console onorario per l’intera area del Nordest italiano (oggi lo è per il Friuli Venezia Giulia e il Trentino-Alto Adige). Nel 1974 ha fondato l’associazione Mitteleuropa ed è stato più volte promotore e organizzatore di incontri di massima valenza internazionale, coinvolgendo diplomazie, governi e capi di Stato dei Paesi del Centro Europa.

Una visione dell’Europa che non guardi al passato, bensì al futuro. È questo lo spirito con cui è nata, quasi cinquant’anni fa, l’associazione Mitteleuropea. Perché nel 1974 ha voluto fondare l’associazione Mitteleuropa? “Per far riflettere tutti un po’ di più sulle radici e sulla storia incredibile di questo nostro territorio. E anche per chiedere una maggior attenzione e rispetto. La storia ci ha dato ragione”.

Nel suo caso, da cosa nasce questa nostalgia per l’impero asburgico? “Non sono mai stato ‘nostalgico’, bensì, da appassionato di storia, mi sono reso conto che i nazionalismi esasperati hanno causato la Prima guerra mondiale e hanno disgregato l’Europa, sono stati la causa della Seconda e poi ancora di quanto accaduto nei Balcani. Quella maledetta pallottola di Sarajevo sta girando ancora per l’Europa. E oggi anche in Ucraina”.

In un mondo globalizzato, che senso ha guardare al passato? “Passato? Anche se può sembrare un controsenso, io ho nostalgia di futuro. Di un equilibrio mondiale che è stato sconvolto nel 1918 e da allora continuiamo a vivere in una situazione di perenne precarietà. E in economia nulla è peggio della precarietà”.

I vicini che considerazione hanno dei friulani? Siamo per loro i soliti italiani pizza, mandolino e mafia? “Assolutamente no. I friulani ovunque godono di una particolare considerazione e rispetto. L’ho provato personalmente, persino in Cina. In certi Paesi è addirittura un titolo preferenziale per trovare lavoro. Il merito va ascritto ai nostri emigranti, che ovunque sono andati hanno onorato le loro radici”.

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