L’attacco di venerdì contro i curdi in un quartiere di Parigi ha provocato uno strascico violento. La comunità curda si sente poco protetta dalle autorità francesi, il presidente Macron prova a tranquillizzare gli animi, ma nel Paese sobbollono tensioni legate a separatismo, razzismo, integrazione e assimilazione
“I curdi di Francia sono stati il bersaglio di un attacco atroce nel cuore di Parigi. I nostri pensieri sono rivolti alle vittime, alle persone che lottano per vivere, alle loro famiglie e ai loro cari”, ha scritto su Twitter il presidente francese, Emmanuel Macron. Si riferisce chiaramente a quanto avvenuto venerdì 23 dicembre, quando verso le undici di mattina un uomo ha aperto il fuoco lungo rue d’Enghien, nel decimo arrondissement, uccidendo tre persone e ferendone altrettante.
Quanto accaduto – le cui ricostruzioni sono ancora da determinare – ha fatto piombare nuovamente Parigi nell’atmosfera cupa degli attacchi terroristici, e soprattutto ha esposto ancora una volta pubblicamente uno dei grandi problemi del Paese: la lotta tra assimilazione, integrazione e separatismo – che il presidente francese ha da tempo ingaggiato come una battaglia strategica di carattere quasi esistenziale.
Dalle prime ricostruzioni è chiaro che il responsabile volesse colpire deliberatamente gli stranieri o addirittura nello specifico la comunità curda, come d’altronde sottolineato dallo stesso Macron, e come potrebbe essere evidente dalla scelta del luogo d’attacco – noto perché frequentato da comunità di persone turche, siriane e curde che ci abitano e ci lavorano. Chi ha colpito il centro culturale “Ahmet Kaya” aveva una di quelle comunità – che vi partecipano ai dibattiti organizzati e vi trovano aiuto per le procedure burocratiche sui permessi di soggiorno – come bersaglio.
Per Macron, dopo i vari attentati di matrice jihadista subiti dal Paese sotto la sua presidenza, è un nuovo campanello d’allarme. Le proteste che sono seguite, gli scontri con la polizia, sono testimonianza di come nemmeno troppo sotto la superficie tensioni e divisioni socio-culturali (etniche, politiche, insoddisfazioni, disagi di vario genere) ribollano. Al Kaya fa base il Centro democratico curdo di Francia (CDKF), la principale organizzazione nazionalista curda francese, e vi si ritrovano anche organizzazioni e militanti che simpatizzano con il Pkk, il Partito dei lavoratori curdi che la Turchia considera come nemico interno e combatte da anni in quanto inquadrato organizzazione terroristica.
Il Journal de dimanche ha avuto per primo l’informazione su chi è l’autore dell’attentato: si chiama William M., ha 69 ed era armato di pistola (e diversi caricatori). Era già noto per reati minori, detenzione di armi da fuoco e azioni violente di natura razzista (lo scorso anno aveva squarciato con sciabola alcune tende di di migranti). È entrato nel centro culturale, ha sparato e ucciso, è uscito inseguendo una delle vittime; è poi entrato in ristorante, ha sparato e ucciso di nuovo; infine si è rifugiato nel negozio di un parrucchiere curdo dove ha sparato di nuovo, poi è stato fermato dai clienti che hanno facilitato l’intervento della polizia.
Una delle vittime è Emine Kara, leader del movimento delle donne curde in Francia, ex combattente delle YPJ curdo-siriane che aveva combattuto al fianco delle forze americane durante la liberazione di Raqqa dall’occupazione dello Stato islamico. Tuttavia, il ministro dell’Interno francese, Gérald Darmanin, ha sottolineato che l’assassino non voleva colpire specificatamente i curdi, ma “gli stranieri”. L’intervento pubblico, con un discorso direttamente sul luogo dell’attacco, non è stato apprezzato e anzi ha creato maggiore tensione, avviando le proteste da parte dei curdi.
Il commento di Macron potrebbe essere stato anche un tentativo di tranquillizzare gli animi, con la situazione complicata anche dal fatto che William M. doveva scontare la sua condanna per “violenza di natura razzista” sotto un regime di libertà controllata. Che per lui sia stato possibile compiere l’attacco è stato considerato sintomo della scarsa capacità di monitoraggio delle autorità, frutto – per chi protesta – di una disattenzione verso certi reati e certe istanze, spiegano fonti francesi che hanno parlato con chi ha manifestato. “Sta ricominciando. Non ci state proteggendo. Ci stanno uccidendo!”, si sente gridare da uno dei manifestanti in un video.
Secondo il ministro dell’Interno l’uomo “ha evidentemente agito da solo”, e non era tra le persone segnalate come pericolose o di estrema destra dai servizi di intelligence. Ipotesi sostenuta anche dalle prime informazioni fatte circolare dagli inquirenti (“non c’è nulla che dimostri alcuna affiliazione di quest’uomo a un movimento ideologico estremista”, dice la procura). Al contrario, il centro Kaya ha diffuso una nota in cui sostiene che “il presidente turco Recep [Tayyp] Erdogan e lo stato turco” siano mandati dell’attacco – non è chiaro se diretti o indiretti.
Erdogan è accusato dai turchi di volere compiere contro di loro campagne di esclusione molto pesanti. Ufficialmente Ankara è in guerra con il Pkk e con i curdi-siriani – che sono collegati e alleati del Pkk turco-curdo – ma diverse politiche del governo turco degli ultimi anni hanno colpito i curdi in generale. E il partito filo-curdo HDP è una forza di opposizione che impensierisce Erdogan non tanto per dimensione, quanto per narrazione, tanto che nonostante non sia collegata alle organizzazioni combattenti, diversi membri sono stati incarcerati con accuse di “propaganda e appartenenza a un’organizzazione terroristica” secondo leggi speciali.
Dopo vent’anni al potere la popolarità del presidente turco è in calo e il suo partito, l’AKP, rischia di perdere le elezioni presidenziali e legislative del 2023. Così il presidente, tra le varie cose, ha puntato su un’operazione contro i combattenti curdi per dimostrare ai turchi che il suo governo ha cura della sicurezza del Paese. Queste pressioni narrative potrebbero aver innescato anche al di fuori della Francia dinamiche di sensibilizzazione, le quali potrebbero aver portato all’indottrinamento (o auto-indottrinamento) di William M.
Da ricordare che Parigi e Ankara sono due nazioni teoricamente alleate sotto l’ombrello Nato, ma divise da una serie di dossier geopolitici a cavallo del Mediterraneo. Una circostanza che mette un ulteriore livello di complicazione nel decifrare ciò che è accaduto e ha portato sfoghi di indignazione lungo le strade parigine in questi giorni particolari – prima di Natale.
La Francia è già stata teatro di attacchi del genere. Il 9 gennaio 2013, Sakine Cansiz, cofondatrice del PKK, Fidan Dogan, rappresentante del KNK (Congresso Nazionale del Kurdistan) a Parigi, e Leyla Saylemez, del movimento giovanile curdo, sono state uccise a colpi d’arma da fuoco presso il Centro d’Informazione del Kurdistan a Parigi, a poche strade di distanza dal luogo dell’attacco di venerdì.
Un’indagine francese sull’omicidio, che secondo quanto riferito sarebbe stato compiuto da un ultranazionalista turco vicino ai servizi segreti del suo Paese (MIT), non è mai giunta a conclusione, bloccata con documenti classificati “Secret-Defence”, ossia il massimo livello di copertura. Sylvie Jan, presidente di France-Kurdistan, non ha nascosto la sua rabbia, tracciando un parallelo con l’assassinio delle tre donne curde un decennio fa. “Per 10 anni abbiamo spiegato che l’impunità incoraggia la recidiva. Ma noi resisteremo”, ha detto a Middle East Eye, parlando dal luogo dell’attentato, “sull’orlo delle lacrime, mentre la folla intonava ‘Erdogan terrorista’ e ‘i martiri non muoiono’”.