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Un nuovo patto fiscale per restaurare la fiducia tra cittadini e istituzioni – Tommaso Alessandro De Filippo

La prima manovra del governo Meloni, il condizionamento dell’elevato debito pubblico sulle scelte politiche, necessità e possibilità di una riforma della spesa pubblica. Questi gli argomenti trattati con Atlantico Quotidiano da Cesare Pozzi, professore ordinario di economia industriale all’Università di Foggia ed alla LUISS Guido Carli di Roma.

Tempi ristretti

TOMMASO ALESSANDRO DE FILIPPO: Prof. Pozzi, come valuta la prima manovra del governo Meloni? C’erano i margini, dal punto di vista finanziario e politico, per fare qualcosa di più?

CESARE POZZI: Credo che più che esprimere una valutazione della manovra sia più corretto elaborare un ragionamento ampio: il governo Meloni è entrato in carica a pochi giorni dalla presentazione della legge di bilancio, in una situazione quasi senza precedenti, dato che nell’Italia repubblicana mai si era votato in autunno per eleggere il Parlamento.

Pertanto, i margini operativi e la tempistica per applicare modifiche all’impostazione data dal precedente governo Draghi erano di fatto nulli. Non c’è stato tempo per proporre norme coerenti con una diversa visione strategica. Implicitamente si potrebbe dire che questa manovra di fatto sia più il frutto della necessità che del nuovo governo in carica.

Rimane il dubbio se per una transizione ordinata sarebbe stato meglio o meno lasciare al governo uscente la definizione della manovra, per concentrare le energie del governo Meloni sulla definizione di tutti quegli interventi che in tempi rapidi, ma realistici, possano dare il segnale concreto di una discontinuità rispetto al passato al fine di rilanciare il nostro Paese; qui assumendosi una piena responsabilità, passando in maniera organica dalle dichiarazioni d’intenti pronunciate nei mesi passati alla prova dei fatti.

Vincoli interni ed esterni

TADF: Quali sono i reali margini operativi del governo, tenendo conto del peso del nostro debito pubblico e del vincolo esterno di Bruxelles?

CP: Sul piano delle posizioni di principio il governo attuale ha segnato una discontinuità rispetto al passato, impegnandosi a favorire la valorizzazione dell’interesse nazionale all’interno di una prospettiva europea, piuttosto che l’annacquamento della prospettiva nazionale all’interno di una posizione europea.

Tuttavia, per permettere che la discontinuità si tramuti da intenzionale a fattuale è necessario intervenire sulle regole. Il debito, a regolazione attuale, rappresenta un problema enorme per il nostro Paese. Ci sono spazi di manovra? Probabilmente sì, ma è necessario cercarli, a partire dall’analisi del perché, sulla base del funzionamento dei Trattati europei, il nostro spazio di autonomia sia limitato.

L’equivoco nelle regole Ue

Andranno fatte delle proposte volte a migliorare la nostra posizione politica. Siamo un Paese con alto debito, ma anche con alta ricchezza privata. I parametri utilizzati a Bruxelles per segnalare la difficoltà nel sostenere il debito di un Paese erano stati pensati nelle more di un percorso, di creazione di uno Stato europeo, che ha sostanzialmente cambiato traiettoria dopo il fallimento dei referendum del 2005 in Francia e nei Paesi Bassi.

Torniamo dunque al tema delle regole: con quelle attuali ogni comunità nazionale risponde dell’eventuale default del proprio debito pubblico, ma il risparmio della comunità non è legato alla comunità stessa.

Pertanto, l’equivoco di fondo, poco compreso, è che nei fatti esiste una moneta euro per ogni Paese e la capacità di un Paese di sostenere il proprio debito e quindi il proprio euro, è legata alla capacità di risparmio di quello stesso Paese, oltre che al confronto con la propria ricchezza privata.

Riqualificare la spesa pubblica

TADF: Riterrebbe necessaria una riforma della spesa pubblica in futuro? Su cosa si potrebbe risparmiare?

CP: Ritengo assolutamente necessario riqualificare la spesa pubblica. Quella del nostro Paese è quantitativamente molto consistente e ci sono senza dubbio margini per aumentarne il potere moltiplicativo, riducendola in alcuni ambiti, valorizzandola meglio in altri.

I cambiamenti in sé non sono per definizione positivi, ma ritengo che al termine di uno sforzo di analisi si possano generare gli elementi e l’opportuno consenso, per una profonda riqualificazione, comprendendo dove sia doveroso effettuare modifiche.

Negli ultimi decenni si è parlato di privatizzazioni e liberalizzazioni come slogan, trascurandone le reali motivazioni economiche frutto di un’analisi strategica che tenga conto dei cambiamenti nel tempo storico. Così non ci sì è resi conto che, in alcuni ambiti – dove la privatizzazione è avvenuta – non ci fossero margini per liberalizzare, mentre in altri ambiti invece lo spazio esiste e andrebbe sfruttato.

Un nuovo patto fiscale

TADF: Crede che la classe dirigente attuale abbia capacità e coraggio per approvare le necessarie riforme? Che suggerimento darebbe al governo?

CP: Il termine riformare è di per sé equivoco perché indica il formare di nuovo ma nello stesso modo, come in modo diverso! Ed è stato usato e abusato da troppo tempo. La nostra comunità ritengo abbia diritto a comprendere e conoscere le motivazioni per cui si sceglie di apportare modifiche, siano esse di tipo politico, sociale o economico.

È necessario comunicare con chiarezza in quale quadro si decidono di apportare determinati cambiamenti, al fine di ottenere il consenso popolare e di ridurre il distruttivo clima di sfiducia e malcontento che c’è tra comunità e istituzioni.

Ad esempio, parliamo di riforma del fisco: è giusto pagare le tasse, ma anche necessario sapere per cosa e come il governo spenda il valore generato dai cittadini.

Riacquistare credibilità è fondamentale perché un sistema tributario possa essere efficace, in parallelo semplificare, ridurre le norme in materia fiscale e smetterla di evidenziare quotidianamente il tema dell’evasione fiscale, agendo nel concreto e non solo a parole, credo sarebbe un ottimo viatico.

Magari grazie ad un nuovo patto fiscale tra istituzioni e cittadini, che abbia anche l’obiettivo di un nuovo investimento della ricchezza dispersa oltre le Alpi, ad esempio nei titoli di Stato nazionali.

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