Greve, sfacciato, a tratti inquietante. È il linguaggio a restituire l’idea di meritocrazia diffusa nelle università italiane: basata non sui titoli e le competenze, ma sulle relazioni di potere. E c’è ben poco di accademico nelle telefonate in cui, da Milano a Palermo, si mercanteggia di cattedre. “Siamo tutti parenti (…) I nostri concorsi sono truccati”.
