Fin dalla partenza il congresso del Partito Democratico ha dimostrato un evidente divario tra l’ambizione di realizzare un congresso costituente e una gestione con il segretario che annuncia la sua non presentazione tra i candidati, lasciando nei fatti il partito senza guida.
L’errore iniziale di Enrico Letta ha reso il percorso congressuale sprovvisto, nei fatti, di regole condivise, per cui, in un contesto di prevalenza delle correnti, tutto è stato rimesso in discussione, concentrando l’attenzione sulle modalità di elezione del segretario, sulla presentazione dei candidati e sul voto tramite le primarie.
Il dibattito sull’identità e strategia del partito, con le relative agorà, è passato subito in subordine e, nei fatti, pressoché abbandonato. Così siamo arrivati alla situazione attuale con quattro candidati, ma con due, Stefano Bonaccini e Elly Schlein, nettamente più avanti. Sarà tra questi due che si sceglierà il segretario, nell’ambito di una riproposizione della logica di schieramento correntizio.
Non credo perciò che questo esito congressuale cambierà granché dell’attuale realtà del partito, se non avere un segretario, legittimato dal voto, che potrà dar vita, se lo vorrà e sarà capace, a una nuova fase della vita del Pd, nella quale incominciare ad affrontare i problemi veri.
Sul partito credo sia necessario porre fine, da subito, a quel vizio di scimmiottatura del populismo, per cui si ritorni a eleggere il segretario dai soli iscritti, non più disincentivati dal fatto di avere analoghi diritti ai non appartenenti al partito. Sono convinto che questa distorsione spieghi anche il fatto insolito, per cui, dopo la sconfitta elettorale di settembre, il Pd abbia continuato a perdere consensi nei sondaggi.
Tuttavia, le primarie possono e devono continuare a essere uno strumento di partecipazione attiva di iscritti e no, attraverso un loro impiego sui temi e problemi politici di particolare rilievo. Le “primarie tematiche”, proposte dal Pd di Vicenza e Veneto, dovrebbero diventare uno strumento fondamentale di rapporto positivo e di ampia partecipazione dei cittadini sulle più rilevanti scelte politiche della sinistra nel corso del tempo.
Per l’immediato futuro, il Pd deve fare ogni sforzo per uscire dalla trappola nella quale si è autocollocato, tramite un confronto interno incentrato sulle regole e sui valori. Un confronto del genere, in un partito caratterizzato da due culture di riferimento, quella della sinistra tradizionale e quella cattolico-democratica, che finora non sono riuscite e realizzare una loro sintesi creativa, porta inevitabilmente a un confronto scontro di segno ideologico, destinato ad approfondire più che a superare i problemi interni.
La sterilità dei risultati conseguiti finora suggerisce che la via per costruire una identità definita ed efficace è quella di partire dalla realtà e su questa costruire i caratteri fondamentali del partito. Tanto più che oggi stiamo vivendo una delle trasformazioni più profonde e più rapide della storia dell’umanità.
Tutti i diversi aspetti della realtà sono sottoposti a grandi cambiamenti, trainati da due potenti motori: l’innovazione scientifica e tecnologica e la globalizzazione. La prima determina profondi e diffusi cambiamenti nella vita personale e sociale; la seconda, partendo dal piano economico, e nonostante i contraccolpi della politica, avvicina sempre più l’umanità a un comune destino.
Tutto ciò sconvolge le categorie e le scelte della politica, e la obbliga a cambiamenti profondi, dalla persona ai molteplici aspetti della vita fino all’assetto globale. In questa realtà, un partito come il Pd è chiamato a costruire una nuova sinistra, in sintonia con il mondo in trasformazione di oggi per partecipare da protagonista al governo del Paese.
Data la natura e la profondità dei cambiamenti, la sinistra da costruire è destinata a caratterizzarsi per notevoli novità, per cui i valori storici di libertà, uguaglianza e solidarietà richiederanno mediazioni in gran parte nuove per tradurli in nuove scelte politiche, e le culture di riferimento del Pd avranno sulla carta poco da offrire e molto da sperimentare e da imparare, per contribuire a nuove sintesi comuni.
Quindi meno riproposizioni di vecchi scontri ideologici da una parte e dall’altra, con relativi scontri di retroguardia, e una nuova cultura politica nata dal vivo delle battaglie in corso, anche dall’opposizione alle politiche del governo di destra, oggi quasi del tutto assenti.
L’obiettivo strategico rimane la costruzione di una sinistra riformista, di governo che, attraverso la ricostruzione del centrosinistra, punti a ritornare a governare l’Italia. Nella nuova economia globalizzata non servirà tanto un anticapitalismo ideologico, quanto la capacità di intervento mirato nei suoi meccanismi per cambiarne la tendenza verso lo sfruttamento, la discriminazione, e la crisi ambientale, avendo come riferimento il più ampio sviluppo della democrazia.
In questo difficile compito il Pd non è solo, ma si avvale, tramite un rapporto di dialogo, rispettoso delle diverse autonomie, delle azioni e delle lotte di altri soggetti sociali, protagonisti nei diversi ambiti di attività. Ad esempio, sulle questioni dei diritti del lavoro e del welfare, saranno decisivi l’innovazione e i risultati della contrattazione collettiva realizzati dal sindacato, che peraltro negli ultimi tempi stenta a manifestarsi.
Ma nell’azione del Pd devono diventare sempre più protagonisti i suoi militanti, che anche in questi momenti difficili dimostrano una fedeltà e un impegno esemplari.
In questi giorni sono stati resi noti i risultati dei versamenti del 2 per mille dell’Irpef per il finanziamento ai partiti, che nel 2022 sono risultati pari a 20,4 milioni di euro, da ripartire tra le 29 forze politiche interessate. Tra queste, chi ha ricevuto il maggior contributo è stato il Pd, pari al 33% del totale (7,35 milioni), più del doppio di quanto incassato da Fratelli d’Italia. Una partecipazione responsabile del genere merita un Pd finalmente rilanciato e protagonista. Spetta al nuovo gruppo dirigente non deluderla.
Luigi Viviani
Luigi Viviani negli anni Ottanta è stato membro della segreteria generale della CISL, durante la segreteria di Pierre Carniti. Dopo aver fondato nel 1993 il movimento dei Cristiano Sociali insieme a Ermanno Gorrieri, Pierre Carniti ed altri esponenti politici, diviene senatore della Repubblica per due legislature. Nel corso della legislatura 1996-2001 è stato sottosegretario al Lavoro con il ministro Cesare Salvi; nella successiva, vicepresidente del gruppo dei Democratici di Sinistra al Senato. viviani.luigi@gmail.com