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Le distopie del WEF si schiantano contro la realtà: la necessità delle nazioni – Antonio Zennaro

Vediamo un po’ nel dettaglio i principali aspetti dell’evento di Davos 2023 organizzato dal World Economic Forum (WEF), che ha riunito i principali decisori politici, economici e mediatici del mondo, nell’esclusiva località sciistica svizzera, e proviamo a offrire una lettura pragmatica sui futuri scenari all’orizzonte.

Europa First

Uno dei principali protagonisti di Davos 2023 è stata la presidente della Commissione europea, la tedesca Ursula Von der Leyen. Al di là dei tanti temi trattati e discussi, il suo discorso è stato molto chiaro: le difficoltà europee del post Covid, la pressione russa sul confine est ed il rimescolamento di tanti attori in un mondo sempre più multipolare e trasversale, rendono necessario un Europa First.

Una risposta alle politiche protezionistiche Usa ed in un certo senso anche ai Paesi orientali sempre più avanguardia tecnologica. Tuttavia, per non veder violati i dogmi fondanti del mercato unico europeo, ed al tempo stesso rispondere alle nuove tendenze globali sulla difesa del clima, sostanzialmente verrà sdoganato a livello europeo un forte intervento pubblico, ma solo in settori ben delimitati come il green e la transizione ecologica.

Per tutti gli altri settori, la risposta è arrivata secca e diretta dalla francese Christine Lagarde, capo supremo della Bce, che non lascia spazio ad interpretazioni: l’inflazione in Europa deve diminuire anche a costo di distruggere la domanda in molti settori, meglio se inquinanti.

Il rialzo dei tassi a tamburo battente sarà una delle principali sfide per le imprese ma anche per nazioni, come l’Italia, dall’elevato debito. Ed infatti, come in un remake del 2011 anche il premier olandese Mark Rutte dal palco di Davos ha bacchettato in maniera pesante i Paesi del Sud del Mediterraneo come l’Italia, che “devono ridurre il debito pubblico”.

Il calabrone-Italia

L’Italia, in questo contesto europeo sempre più dominato dalle scelte, e soprattutto nell’impostazione, dai Paesi norreni e scandinavi, viene vista come un’anomalia, il calabrone (che vola ma per la scienza non dovrebbe) in contesto di api operaie.

La diversità della penisola nel nuovo contesto globale risulta tanto più evidente nei nuovi megatrend che vorrebbe il WEF con la sua vision: il cibo sostenibile (fatto perlopiù con farine di insetti) o le case totalmente green che mal si adattano all’Italia dei comuni e dei centri storici dalla storia medievale.

Insomma, anche se le maggiori corporation italiane erano presenti in blocco a Davos, anche per capire quali saranno i futuri business, al riparo da recessione e nuove burocrazie, non saranno mesi facili per l’Italia tra direttive green e rifinanziamento del debito pubblico.

Tuttavia, per la prima volta dopo anni, nonostante i nemici giurati dell’agenda globale Trump e Bolsonaro siano fuori dai giochi, emerge una sensazione di impotenza nel modellare i futuri scenari.

Dipendenza dalla Cina

La guerra in Ucraina ha plasticamente fotografato le difficoltà delle catene d’approvvigionamento occidentali sul fronte militare che sono, in sostanza, carenze sul fronte della capacità industriale. Anni di delocalizzazione selvaggia hanno forgiato una perversa dipendenza verso la Cina su una molteplicità di settori: dai chip, alla componentistica, arrivando addirittura ai principi attivi nel settore sanitario.

Il tutto mal si adatta ad un contesto che dovrebbe perseguire moderazione e ridimensionamento che impone la svolta green. Sembra chiaro che se l’Europa e l’Occidente vogliono contrastare Putin ed il nuovo asse multipolare, non potrà mandare tank green che funzionano con pannelli solari “made in China”.

Anche sul fronte del salto tecnologico ed il perseguimento del sistema del cosiddetto social scoring, l’applicazione dei Green Pass durante il Covid ha dimostrato tutti i limiti sociali di avversità, che forse in un oriente cinese potranno funzionare, ma in un occidente che vuole continuare ad esser baluardo e difensore delle libertà individuali non può che risultare avulso ed indigesto a grandi fette della popolazione.

Utopie contro realtà

Insomma, il sogno di plasmare una nuova società fatta non più di nazioni ma di corporation globali che in una virtuosa competizione tecnologica modellano il nostro futuro, si scontra con la dura realtà, che certifica che molte utopie rischiano di trasformarsi in tragiche distopie.

La realtà impone il pragmatismo della ragione. I reggimenti russi sono solo a meno di 500 chilometri dal primo confine europeo. E quando il gioco si fa duro, capisci che solo gli Stati nazionali possono fare la differenza.

Forse è tempo di archiviare i sogni di Klaus Schwab e pensare che senza industria, economia in crescita e tutela delle libertà individuali come la proprietà immobiliare, risulta difficile competere nella nuova sfida globale che vede nazioni come Russia e Cina sempre più agguerrite.

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