di Chiara Della Rocca e Sirio Zolea
L’evoluzione della moderna genetica forense si esplica nella tecnologia nota come “Forensic DNA phenotyping (FDP)” o “External Visible Characteristics (EVC) Prediction”. Tale approccio permette di predire le caratteristiche fenotipiche di un individuo a partire dal suo materiale genetico il quale, in ambito forense, può essere acquisito da un campione biologico repertato sul luogo del reato. L’esigenza di ottenere informazioni riguardo il fenotipo di un individuo a partire dalle tracce biologiche lasciate sulla scena criminis nasce dal fatto che, in taluni casi, lo studio dei marcatori molecolari può non apportare informazioni utili alle indagini: ciò si verifica nel caso in cui il profilo genetico estrapolato da una traccia biologica escluda un sospettato o non sia presente nelle banche dati genetiche.
Inoltre, l’inferenza delle caratteristiche somatiche risulta particolarmente utile nei casi di rinvenimento di resti cadaverici, come ad esempio nei casi di ricerca di persone scomparse o delle ricerche postume ai grandi disastri di massa (“Disaster Victim Identification” – DVI). In codeste casistiche, infatti, è facilmente intuibile la preminente potenzialità investigativa che risulta dalla ricostruzione digitale dell’antropometria facciale ante-mortem di un cadavere non ancora identificato.
1. Le basi genetiche dell’esteriorità
Il fenotipo di un individuo, inteso come l’insieme delle caratteristiche somatiche, fisiologiche, patologiche e, in una certa misura, comportamentali, è il risultato dell’interazione tra il corredo genetico e le condizioni ambientali in cui tale corredo genetico si esprime. Le caratteristiche fenotipiche di ciascuno di noi, attraverso le quali si esprime la nostra unicità, possono quindi essere definite come caratteri “complessi” e “multifattoriali”, ovvero influenzati da più geni e modulati da fattori ambientali, rispettivamente. Dal momento che il peso della componente genetica e di quella ambientale nella manifestazione fenotipica di un carattere possono essere calcolati mediante complessi modelli matematici, che tengano conto dei diversi fenomeni molecolari (ad esempio la pleiotropia o l’espistasi), è possibile predire l’esteriorità di taluni caratteri fenotipici di un individuo. Tale premessa rappresenta la base della “genetica inversa” ovvero quell’approccio molecolare per cui, nota la funzione di un gene (o di un gruppo di geni), è possibile determinare, con un ragionevole grado di certezza, il fenotipo che ne deriva.
Tuttavia, risulta doveroso precisare che, ad oggi, la diversità interindividuale dei volti è sostanziale, complessa e, in gran parte, ancora non spiegata dalla scienza. Storicamente, infatti, le informazioni genetiche alla base della genesi della regione cranio-facciale derivavano da studi clinici, in quanto l’interesse era, ragionevolmente, incentrato sull’identificazione delle cause eziologiche delle patologie che comportavano anomalie fenotipiche e, solo negli ultimi anni, si è iniziata a studiare la biologia molecolare alla base delle normali variazioni interindividuali.
La complessità risiede nel fatto che la biogenesi di un volto comporta una serie coordinata di eventi consequenziali – come ad esempio la migrazione cellulare, la crescita, l’adesione, il differenziamento e l’apoptosi – i quali coinvolgono complessi fenomeni di espressione genica e interazioni molecolari.
Tali eventi si verificano in fase embrionale, nello specifico sono riconducibili alla IV settimana di gestazione, quando le cellule della cresta neurale subiscono una serie di movimentazioni per lo sviluppo delle regioni fronto/medio/latero – nasale, maxillare e mandibolare. A livello intra-uterino sono coinvolti diversi fattori molecolari, quali ad esempio i fattori di crescita dei fibroblasti (FGFs), le proteine Sonic Headgehog (SHH), le proteine della morfogenesi ossea, i geni Homeobox (Barx1, Msx1, Dxl) e i gradienti locali di acido retinoico (Fig. 1).
Il normale sviluppo di queste regioni dipende, quindi, dal corretto posizionamento spazio-temporale delle cellule della cresta neurale e dal differenziamento dei tessuti in strutture cartilaginee e scheletriche, che si rifletteranno poi nelle differenze in dimensione, forma e distanze relative (verticali, orizzontali e di profondità) tra le componenti di un volto (i.e. naso, occhi, labbra…) che diviene, quindi, unico per ogni individuo.
L’unicità fenotipica individuale risulta, chiaramente, tanto più sfumata quanto più due individui condividono l’informazione genetica: basti pensare alla sottile, e talvolta non apprezzabile, diversità esistente tra i gemelli monozigoti per ben comprendere l’influenza, sostanziale, che la genetica ha sull’aspetto di ognuno di noi.
In tale contesto si incardinano gli studi di ereditabilità che cercano di vagliare i contributi, relativi e reciproci, della componente genetica e di quella ambientale, sebbene, data la complessità del fenomeno, difficilmente sia possibile ottenere risultati robusti e riproducibili.
Inoltre, è da tenere in considerazione che il cambiamento morfologico di un volto continua fin dopo la nascita, quando questo, seguendo il normale sviluppo somatico, va incontro a periodi di crescita costante alternati a periodi di evoluzione più rapida, soprattutto nella fase della pubertà.
2. Il Forensic DNA Phenotyping (FDP)
La predizione dell’aspetto di un volto, ottenuta a partire dalla decodifica del dato genetico a cui vengono poi applicati modelli statistici di ricostruzione predittiva (Fig.2), rappresenta sicuramente l’estrinsecazione più affascinante e maggiormente suggestiva della moderna genetica forense e va sotto il nome di “Forensic DNA Phenotyping” (FDP).
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