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La mia vita in mezzo ai bottoni Silvia Bernardi e il fascino antico

GARDOLO. Quando è un bottone a cambiarti la vita. E ci vuole anche coraggio quando a 43 anni ti ritrovi senza lavoro e affidi il tuo futuro a quello che è il più antico accessorio d’abbigliamento ancora in uso.

Silvia Bernardi questa scelta l’ha fatta e si è cambiata la vita unendo alla necessità, la passione ed una notevole manualità.

L’idea è nata da una vicinanza. «Abito vicino all’ex Bazar di Gardolo che aveva uno spettacolare reparto di merceria con un’infinità di bottoni. Ne ho comprati davvero tanti, ed alla fine ho deciso di creare una linea di bigiotteria fatta praticamente di pezzi unici».

Silvia, seppur nata a Riva del Garda, è originaria di Storo e dopo la Ragioneria a Tione, ha frequentato la facoltà di Economia Politica a Trento; a seguire un soggiorno a Londra per affinare l’inglese e la prima scelta di vita: «Apro partita Iva per poter lavorare come consulente, ma unicamente a termine. Lavoravo quel tanto che mi bastava per pagarmi un viaggio all’estero e così ho girato il mondo. Al ritorno mi chiama un’azienda da poco costituita che mi propone un contratto a tempo indeterminato, lo accetto».

Però non finisce bene: «Diciamo che nel lavoro dipendente mi mancava l’aspetto creativo, e quando nel 2013 l’azienda va in crisi e mi licenzia non ero proprio molto dispiaciuta. Al contrario direi che quel licenziamento l’ho preso come un’opportunità».

Si guarda attorno e si ritrova in un mondo di bottoni. «Più o meno. Mi sono sempre piaciuti e ne avevo già in casa. Altri li ho acquistati al Bazar; a lavorare a maglia lo avevo imparato da piccola e la decisione è arrivata sommando le tre cose con la spinta di una mia amica».

Realizzata la linea di bigiotteria bisogna venderla: «Ho acquistato un gazebo ed ho iniziato a fare mercatini come hobbista e giro l’Italia: Veneto, Lucca, Alto Adige, Mercatini di Natale a Bolzano e cambio vita».

Una sorpresa? «Le persone che dopo aver visto i miei lavori si ricordano di avere in casa una vecchia scatola – spesso di latta che conteneva biscotti – con i bottoni della mamma o della nonna, me li portano. In alcuni casi li acquisto, in altri me li regalano oppure mi chiedono di realizzare qualcosa con quei bottoni che diventano il ricordo di una persona cara: è così che inizio a lavorare anche su ordinazione».

Che senso dà ad un bottone? «Il fascino di pezzi di storia, la tradizione di quando quelle vecchie scatole di latta passavano da madre in figlia, testimonianze di moda passata, ma anche di valori abbandonati come la madreperla oggi sostituita da una anonima pellicola».

La bancarella di Silvia Bernardi è l’unica in regione, ma anche in Italia non sono che una manciata, come questa, ed a casa sua, confessa, ci saranno più di diecimila bottoni, anche se non li ha mai contati.

I bottoni hanno un valore?«Sì, lo hanno. A Santarcangelo di Romagna c’è un museo che fa anche le valutazioni. Io ne ho di rari, come i bottoni in giaretto dell’epoca vittoriana, oppure bachelite, poi ci sono quelli in osso e quelli militari».

Riceve una vecchia scatola di latta e … «Vince la curiosità. Dai bottoni si capiscono tante cose di chi li possedeva; poi dentro a quelle scatole si trova di tutto: santini e perfino chiodi e viti. Fino a qualche anno fa quando si buttava via un capo di abbigliamento si staccavano i bottoni che venivano gelosamente custoditi: una tradizione persa».

Perché? «Prima di tutto non si è più capaci di attaccare un bottone e quindi è inutile averne. Poi hanno raggiunto dei costi che se li devi comprare, è meglio acquistare un capo nuovo. Oggi non sono più quegli oggetti semplici di qualche anno fa, ma per alcuni si può parlare di gioielli».

Un progetto? «Uno? Tanti. Il primo è anche un appello: cerco un laboratorio a basso costo per poter aumentare la mia produzione, ampliarla e mettere ordine in casa. Adesso è impresentabile. Poi sarebbe bello pensare anche a Trento ad una forma espositiva. I bottoni hanno fatto la storia, alcuni sono già pezzi unici e andrebbero valorizzati».

Torniamo al suo gazebo: si fermano anche i giovani? «Per loro è un mondo nuovo, per i più anziani un mondo ritrovato. Per i primi i bottoni creano curiosità, per i secondi innescano i ricordi. Con tutti si parla ed è così che nascono le idee di chi mi chiede delle realizzazioni personalizzate. Poi molti comprano».

Una soddisfazione? «L’essere riuscita a creare tutto questo da sola in un momento della mia vita che non era di certo facile. Allora avevo qualche timore, adesso ne vado fiera».

L’unico rischio è quello di rimanere senza bottoni. «Ne ho una scorta che almeno nell’immediato mi fa stare tranquilla. Sicuramente quelli più vecchi dagli anni Trenta agli anni Sessanta andranno a scomparire e così i pezzi unici creati assumeranno un valore ancora maggiore, insomma un mondo in movimento».

Non si sente sola ad essere l’unica artista del bottone regionale ed una delle poche a livello nazionale? «Mi fanno compagnia la curiosità e l’interesse della gente. Mi piace sentire i loro racconti, i loro ricordi che spesso sono momenti di vita famigliare irripetibili».

Poi quando arriva quella scatola di latta che era stata dimenticata e Silvia la riceve con curiosità e amore, si ravviva anche quel valore che aveva per i nostri genitori e nonni che l’aprivano con aspettativa, procedevano alla cernita e poi con mano più o meno sicura infilavano il filo nell’ago. Passaggi che per le nuove generazioni sono sconosciuti: la magia del bottone.

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