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Jonathan Bazzi e l’aggressione a Rozzano: «Capitano tutte a me? No, è che io non ho problemi a raccontarlo»

di Elvira Serra

Lo scrittore: «Ho avuto paura». I problemi con l’amministrazione: «Sembra che io sia un rappresentante dell’opposizione da controbattere ogni volta»

Jonathan Bazzi, Rozzano non la ama.

«Eppure io mi sono occupato di tanti temi, non solo di Rozzano».

Da quanto tempo non vive più lì?

«Dal 2007, quindi sono 15 anni. Però ci torno due volte al mese per andare da mia madre, da mia sorella, dai miei zii. Tutta la parte materna è rimasta lì».

Lo scrittore finalista al Premio Strega nel 2020 con il romanzo di esordio Febbre ha denunciato sui social l’ennesima aggressione omofoba (l’ultima, è avvenuta ad agosto a Todi). Sabato alle tre del pomeriggio stava facendo un sopralluogo con il compagno Marius e quello che sarà il regista di Febbre, quando il trio è stato circondato da un gruppo di ragazzini in monopattino elettrico che ha cominciato a lanciare palle di neve sintetica, raccolta dalla vicina pista di pattinaggio, e lattine piene. Gli altri due hanno provato a interagire con gli adolescenti (tra i 12 e i 16-17 anni), mentre l’autore è rimasto paralizzato dalla paura, riportato indietro agli anni in cui è stato vittima di bullismo. Le reazioni sono state tante: di solidarietà, ma anche di scherno. Il senso più o meno era questo: cosa vuoi, adesso, dopo aver parlato tante volte male di Rozzano?

Diamo per buona la provocazione: che problemi ha con Rozzano?

«Io non ho mai avuto questioni con persone singole o famiglie singole, è un discorso più generale che ha preso la forma di una contrapposizione con l’amministrazione. Ma devo ammettere che ci sono stati precedenti spiacevoli».

Per esempio?

«Sarà anche un caso, ma la presentazione di Febbre alla Biblioteca comunale nel settembre del 2020 fu annullata casualmente il giorno dopo l’uscita di un mio articolo su Domani sulla ripresa della scuola in seguito al lockdown, che a Rozzano era più difficile che altrove».

Quali furono le motivazioni ufficiali?

«Logistiche… Mentre con Corpi minori riuscimmo a fare la presentazione, ma quando arrivai lì le bibliotecarie mi dissero che loro avrebbero voluto un altro relatore. Infatti l’incontro si trasformò in una tribuna politica, come se io fossi un membro dell’opposizione da smentire per difendere l’orgoglio cittadino».

Non sarà stato divertente.

«Uno dei problemi fondamentali di posti come Rozzano è il mancato rapporto con la verità. Si tende a negare i problemi: lo fa sia chi governa sia chi amministra. Ammetterli significherebbe occuparsene e risolverli, ma purtroppo anche chi ci vive spesso ha questo tipo di reazioni: negazione, rimozione, il che è pure comprensibile, fosse anche solo per una questione di autostima. Non si ama sentirsi raccontare e identificare con un luogo che ha certi problemi e fragilità».

Ha avuto paura sabato?

«Sì, quella situazione, con un branco che ci circondava, ha riacceso in me ricordi traumatici. Il mio compagno e il regista erano più tranquilli. Infatti hanno anche provato a dialogare con quei ragazzini»

Ha pensato di denunciarli?

«Ieri mi hanno chiamato i carabinieri: volevano che andassi lì, io però non potevo. Oggi mi ha contattato il maresciallo, mi ha detto che proveranno a risalire ai responsabili con le telecamere, però ha aggiunto che denunciare non serve a molto: sono tutti minorenni e spesso convocare i genitori non serve a nulla. Comunque quei ragazzini hanno creato problemi anche al titolare della pista di pattinaggio».

Può già dirci il nome del regista di «Febbre»? Sui social non lo ha scritto.

«Ancora no, Cross Production non ha ancora fatto l’annuncio, ma il soggetto è già stato consegnato e stanno iniziando concretamente a lavorarci. È stato complicato trovare qualcuno che se la sentisse o avesse una idea soddisfacente di trasposizione: Febbre è un libro pieno di cose che si dipanano in un arco di tempo molto ampio».

Noi ci eravamo sentiti ad agosto, dopo gli insulti a Todi. Non è sconfortante per lei?

«C’è chi dice: ma tutte a lui capitano? La verità è che io non ho problemi nel parlarne. Credo che molte persone subiscano senza dirlo. C’è una questione comprensibile di orgoglio. Io sono cresciuto in un posto dominato da una cultura machista e mi sono sempre sentito dire: e tu non hai fatto niente? Perché gli altri erano pronti alla rissa».

Tornerà a Rozzano per Natale?

«Sì, certo. Io e Marius ci divideremo tra casa nostra e casa di mia madre».

Ha già preso il regalo per lui?

«Non ancora, faccio sempre all’ultimo. Ma ormai non regalo più oggetti: preferisco le esperienze, da condividere insieme».

19 dicembre 2022 (modifica il 19 dicembre 2022 | 14:49)

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