Se c’è una lezione che pandemia di Covid-19 ci ha impartito è che le nostre vite sono governate dall’incertezza.
In questo passaggio d’anno, mentre la minaccia di nuove varianti riprende a dominare i palinsesti informativi e la paura di ricadere nell’emergenza avanza, è proprio il sentimento di incertezza a riaffacciarsi prepotente; sia a causa dell’imprevedibilità dei comportamenti del virus, sia per l’impossibilità di anticiparne gli effetti sulle relazioni interpersonali, sugli stili di vita, sulle prospettive di benessere economico e sociale.
La paura del contagio torna inoltre in un quadro afflitto da crisi molteplici: la guerra in Ucraina di cui non si intravede la fine, l’inflazione che aggredisce i salari, la stretta energetica, il cambiamento climatico.
Si tratta di altrettante minacce che accrescono nelle persone il senso di vulnerabilità, trasformandola in ansia e vissuto di impotenza, soprattutto in assenza di reti efficaci di sicurezza sociale e di un impegno serio della politica nel far fronte a questi problemi.
Se infatti il disordine globale, la precarietà economica, il disorientamento cognitivo fanno dell’incertezza la tonalità emotiva dominante, la possibilità di mitigarla sembra dipendere dalla capacità dei decisori pubblici di offrire prospettive credibili di protezione dai rischi, anche attraverso visioni capaci di affrontarne le cause, oltre che gli effetti.
Il governo italiano promette di muoversi in questa direzione? Non è questa al momento l’impressione.
Non solo perché è guidato dalle forze politiche più ostili alle misure di contenimento del contagio da Covid-19, o meno impegnate nella transizione ecologica, ma anche perché ha appena varato una manovra finanziaria che riserva poca o nessuna attenzione proprio alla difesa delle infrastrutture sociali che sono necessarie a sostenere la vita, soprattutto delle persone più fragili.
La sanità, il welfare, la scuola: le articolazioni di un sistema pubblico che si prende cura dei bisogni vitali, e lo fa in base a principi universalistici, sono state poste in secondo piano da una politica di bilancio che – fatta eccezione per gli interventi contro il caro energia – sembra orientata in modo prioritario a contenere la spesa sociale, ridurre il peso fiscale su redditi medio-alti, punire i poveri, favorire gli evasori.
La risposta della destra di governo al senso di crescente insicurezza è offerta, invece, sul piano identitario: la certezza di confini e gerarchie sociali, la chiusura nel “noi”, il conforto di uomini o donne “forti”. Si va dal pugno duro contro le Ong al sovranismo linguistico, dai mo
delli di educazione autoritaria alla famiglia di mamma e papà.
La strada intrapresa non guarda alle ragioni profonde dell’incertezza, ma offre una semplice illusione di protezione. E additando sempre nuovi nemici, non fa che alimentare la paura.
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