di Alessandro Vinci
C’è chi lo considera un incentivo al pensiero anti-critico, altri mettono in guardia contro «l’idea che lui stia a guardare per tutto il tempo» e l’esistenza di una «lista immaginaria di cattivi». E se fossero solo preoccupazioni immotivate? Parola alla pedagogista Silvia Sellitri
È davvero giusto lasciare che i più piccoli credano in Babbo Natale? La risposta, di primo acchito, appare scontata: che male c’è – verrebbe da pensare – nel perpetuare la tradizione che più di ogni altra contribuisce a generare l’irripetibile magia delle festività invernali quando si è bambini?
Secondo David Kyle Johnson, docente di Filosofia presso il King’s College di Wilkes-Barre (Pennsylvania) e autore del libro The Myths That Stole Christmas, del male effettivamente c’è: «Quando parlo della “bugia di Babbo Natale”, non mi riferisco all’intero mito di Babbo Natale, ma ai genitori che ingannano i propri figli facendo credere loro che Santa Claus sia letteralmente reale», ha dichiarato venerdì scorso alla Bbc, mettendo in luce come in casi come questi la cieca credenza non dovrebbe mai prevalere sulla più semplice immaginazione. «Penso che questo possa erodere la fiducia tra un genitore e un bambino – ha proseguito –, ma credo che il pericolo maggiore sia rappresentato dalle lezioni di pensiero anti-critico che vengono impartite». A suo giudizio, infatti, «la “bugia di Babbo Natale” fa parte di una pratica genitoriale che incoraggia le persone a credere a ciò che vogliono credere, semplicemente per la ricompensa psicologica». E ciò – afferma – «è davvero un male per la società in generale».
Tra i problemi legati al considerare Babbo Natale effettivamente reale, quello che venga percepito alla stregua di un Grande Fratello dalla lunga barba bianca intento a osservare ogni azione dei bambini per valutare fino a che punto meritino i suoi attesissimi regali. Una sorta di «giudizio universale» in salsa consumistico-materialistica, insomma. «L’idea che lui stia a guardare per tutto il tempo può essere un concetto piuttosto spaventoso per i bambini – ha spiegato, sempre alla Bbc, la psicologa clinica Rachel Andrews –. Far credere loro di essere su una lista immaginaria di cattivi (peraltro per comportamenti che hanno tenuto nel corso di quanto, un anno intero? Tre o quattro mesi?) è assai contrario a ciò che sappiamo essere in grado di incentivare comportamenti positivi nei nostri figli». Anche perché, come ha fatto notare Philip N. Cohen, docente di Sociologia all’Università del Maryland, in questo modo «si sta dicendo loro che i regali che ricevono dipendono dalla bontà che dimostrano». E questo, in un mondo pieno di disuguaglianze, rappresenta una «lezione distruttiva» poiché equivale a «insegnare ai piccoli benestanti che ottengono ciò che desiderano perché sono bravi, mentre quelli poveri non lo fanno perché non sono bravi».
Niente più Santa Claus né doni sotto l’albero, dunque? E se al contrario si trattasse di preoccupazioni eccessive e di fatto immotivate? Come illustra al Corriere la pedagogista, educatrice e mediatrice familiare Silvia Sellitri, «la dimensione del magico e del fantastico è parte integrante del modo di pensare dei più piccoli». Perciò, a suo modo di vedere, alimentarla attraverso la figura di Babbo Natale non può che «fare bene». Le cose tuttavia cambiano quando i bambini stessi iniziano a «farsi domande» sul mondo che li circonda: «Ciò accade in genere intorno ai 7-8 anni – dice –, ma ognuno ovviamente è diverso». È quindi proprio questo «limbo» la fase decisiva. Ovvero quella in cui «sta alla bravura del genitore percepire se il figlio sia davvero pronto per scoprire che Babbo Natale in realtà non esiste, ma è semplicemente una leggenda parte dell’incanto del periodo». Una riflessione – questa – pienamente condivisa da un’altra intervistata dalla Bbc, la docente di Psicologia all’Ithaca College di New York Cyndy Scheibe, che ha raccontato come nella sua carriera abbia visto diventare «problematica» la credenza in Babbo Natale soltanto quando i genitori hanno voluto perpetrarla oltre il momento in cui i figli erano pronti per conoscere la verità. Questo sì – secondo Sellitri – può innescare il processo di erosione di fiducia menzionato da Johnson.
Per quanto riguarda invece le criticità individuate da Andrews e Cohen, anche secondo la pedagogista italiana «quello del merito è un tema particolarmente delicato perché il rischio è che i bambini facciano i bravi solo per ricevere in cambio un dono, non perché sia giusto di per sé». Il che è «un insegnamento non solo non sano, ma anche effimero, perché allora non appena passato Natale ricominceranno a fare i capricci. Quegli stessi capricci che avevano represso nella speranza di ricevere i regali desiderati». Anche in questa dinamica risiedono però aspetti problematici, in quanto per Sellitri «i capricci, oltre a essere del tutto normali, sono un’indispensabile forma di comunicazione di cui i bambini si servono per esprimere disagio di fronte a determinate situazioni». Piuttosto che vietarli, l’esperta consiglia quindi ai genitori di considerarli opportunità per «trovare gli strumenti educativi più adatti a promuovere la crescita positiva dei figli, magari proprio facendo comprendere loro che nella vita ci sono limiti e regole, a prescindere dal Natale e dai regali». In questo modo sì che saranno tutti più buoni.
21 dicembre 2022 (modifica il 21 dicembre 2022 | 08:25)
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