La morte di Benedetto XVI ci costringe a ricordare anche alcuni dei momenti più indecorosi del dibattito italiano fra laicità e religione.
Il punto più basso è stato raggiunto nel 2007, quando l’università romana La Sapienza, che aveva invitato il pontefice a rivolgere un saluto per l’inaugurazione dell’anno accademico 2008, ritirò successivamente l’invito. Un’università chiudeva le porte in faccia a un Papa, nel nome della “laicità”.
I guardiani della “laicità”
La polemica che causò questo clamoroso dietrofront fu una campagna stampa lanciata dal Manifesto e prontamente ripresa da La Repubblica e soprattutto una lettera aperta di 67 docenti della Facoltà di fisica.
“In nome della laicità della scienza e della cultura e nel rispetto di questo nostro Ateneo aperto a docenti e studenti di ogni credo e di ogni ideologia, auspichiamo che l’incongruo evento possa ancora essere annullato”, recitava la lettera aperta.
Nella precedente missiva, a firma del professor Marcello Cini, pubblicata su Il Manifesto, si leggeva questo concetto fondamentale:
Un cattolico democratico – rappresentato per tutti dall’esempio di Oscar Luigi Scalfaro nel corso del suo settennato di presidenza della Repubblica – non si sarebbe mai sognato di dimenticare che dal 20 settembre del 1870 Roma non è più la capitale dello Stato Pontificio. Mi soffermo piuttosto sull’incredibile violazione della tradizionale autonomia delle università – da più 705 anni incarnata nel mondo da La Sapienza dalla Sua iniziativa.
Benedetto XVI predicava l’equilibrio tra fede e ragione. L’università romana lo incarnava perfettamente, quell’equilibrio. Se si stava celebrando l’inaugurazione del 705mo anno accademico, significa che fu un Papa a inaugurarla, nello Stato Pontificio, per insegnare tutto il sapere allora a disposizione dell’uomo, incluse le prime scienze esatte.
Questo episodio, oltre alla mobilitazione permanente dei “guardiani della laicità”, con il partito-giornale La Repubblica alla loro avanguardia, dimostrava come in Italia non si fosse sanata la ferita aperta nel 1870, con il conflitto fra Stato (unitario, nazionalista, secolare) e la Chiesa.
Ma dimostrava anche una drammatica incomprensione: i laici forse non se ne sono accorti, ma nel Novecento lo Stato ha vinto la sua partita contro la Chiesa ed anche contro tutti i corpi intermedi. Ed ora ne occupa tutti gli spazi.
L’istruzione
Il primo conflitto riguardò da subito l’istruzione. Oggi come oggi, l’istruzione è interamente nelle mani dello Stato. Anche dove ci sono scuole private, religiose o laiche, i programmi e gli obiettivi dell’istruzione sono dettati dallo Stato, secondo criteri dell’ideologia maggioritaria del governo.
In generale, in tutto il mondo ancora libero, l’idea che sia la famiglia la responsabile dell’istruzione dei figli (come recita anche la nostra stessa Costituzione) è stata completamente sovvertita: oggi è lo Stato che educa i figli e i loro genitori devono accettarlo, mantenendo un ruolo residuale di collaborazione all’educazione.
La famiglia
La famiglia è nelle mani dello Stato. La moltiplicazione dei modelli di famiglia, a prescindere da quel che si possa pensare delle nozze omosessuali, è la dimostrazione plastica di come lo Stato possa fare o disfare il diritto familiare, senza consultarsi con altri se non la maggioranza del momento.
I vecchi cattolici, il secolo scorso, avevano avvertito: se lo Stato sposa le coppie, con un suo matrimonio civile, si arriverà al punto di avere un governo che si sostituisce al prete e una legge positiva al sacramento. I cattolici moderni hanno accettato, invece, che lo Stato si sovrapponesse alla Chiesa e oggi si vedono i risultati.
La religione
La religione stessa è nelle mani dello Stato. Forse non tutti se ne sono accorti, ma per almeno due anni la Chiesa è stata di fatto nazionalizzata, con il pretesto della pandemia. Quando pregare, dove, come, persino come ricevere la comunione, cosa dire nelle omelie, tutto è stato regolamentato minuziosamente dallo Stato.
Ed anche in Italia (non in Cina, ma in un Paese democratico europeo) abbiamo assistito alle scene di forze dell’ordine in chiesa che fermano la messa e portano via il sacerdote. I cattolici stessi hanno collaborato con zelo a questa nuova, patologica, condizione in cui è lo Stato che fissa le regole liturgiche. Cosa non si fa per la paura…
Aborto ed eutanasia
Lo Stato fissa i criteri con cui si dice cosa sia la vita e cosa non lo sia, quando inizia e quando finisce, senza ascoltare più il parere della Chiesa. L’aborto legale è la dimostrazione che la Chiesa non ha più modo di dire, pubblicamente, che la vita comincia dal concepimento.
Lo Stato fissa l’inizio del cittadino al primo respiro ed esclude che si vieti la possibilità di abortire dopo il terzo mese dal concepimento (ma alcune legislazioni permettono già l’aborto fino al nono).
Lo Stato non solo permette l’eutanasia, ma in sempre più casi la incoraggia, come si vede dalle volte che il morituro non può esprimere la sua volontà, vuoi perché è troppo ammalato per farlo, vuoi perché è troppo piccolo. Nel dubbio, un giudice può decidere sulla tua morte, con amara ironia lo fa per il tuo “migliore interesse”.
Un fanatismo speculare
Chi chiede la separazione fra Chiesa e Stato, oggi, non si rende conto che il secondo detta le regole su vita, famiglia, istruzione, persino la liturgia nei casi estremi, tutto ciò di cui si occupava tradizionalmente la Chiesa.
L’ultima frontiera è la lotta contro l’obiezione di coscienza: impedire a un medico di rifiutarsi di uccidere un nascituro o un malato grave sarà l’ultima conquista della “laicità”.
E si è persa la seconda parte della lezione di Ratisbona, di cui ci ha parlato Michele Marsonet su queste colonne: quella in cui Ratzinger, da filosofo, metteva in guardia anche da una ragione svincolata dalla fede, oltre che dalla fede irrazionale e fanatica svincolata dalla ragione.
Una ragione svincolata dalla fede porta infatti ad un fanatismo speculare e opposto rispetto a quello degli integralismi religiosi. E l’esito è sempre lo stesso, alla fine: la distruzione della libertà.