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Anche l’America sta finendo: il grido d’allarme di Victor Davis Hanson – Rob Piccoli

Victor Davis Hanson, noto commentatore politico, nonché acclamato classicista e senior fellow del prestigioso think tank della Stanford University noto come Hoover Institution, non è nuovo ad uscite spiazzanti e anticipatrici di eventi.

Il destino di Trump

Come un libro, “The Case for Trump”, di cui annunciammo l’uscita qui su Atlantico Quotidiano nel marzo 2019 e nel quale l’autore teorizzava dottamente su quello che a lui sembrava l’inevitabile destino dell’allora presidente uscente.

Il libro, dopo aver raccontato e spiegato come nel 2016 un uomo d’affari e una celebrità mediatica senza esperienza politica sia riuscito a trionfare su sedici qualificatissimi rivali repubblicani e contro una candidata democratica con un quarto di miliardo di dollari a disposizione per la campagna elettorale, esponeva una tesi singolare e affascinante: The Donald è una sorta di “eroe tragico” di tipo classico, di cui l’America ha disperatamente bisogno, ma che era destinato a ricevere ben presto il ben servito dal suo Paese. E così fu, effettivamente, venti mesi dopo, alle presidenziali del novembre 2020.

Le rovine

Adesso il professore si lancia in un’altra predizione, stavolta relativa all’intera nazione americana, e non è un pronostico favorevole, per usare un eufemismo. Il sottotitolo e una citazione di Adam Smith all’inizio dell’articolo dicono tutto. La citazione: “Stai certo, giovane amico, che c’è molta rovina in una nazione”. Il sottotitolo: “Sì, c’è molta rovina nelle grandi nazioni. Ma anche l’America ormai sta finendo”.

Lo scenario che abbiamo di fronte, scrive il professore, è eloquente: abbiamo un debito collettivo di 31 trilioni di dollari, scrive Hanson, un esercito che è politicizzato e a corto di reclute, un FBI corrotto e screditato, che “collabora con gli appaltatori della Silicon Valley per sopprimere la libertà di parola e deformare le elezioni”.

Siamo un Paese che ha già conosciuto la sconfitta, continua VDH, “ma mai una degradante e deliberata umiliazione come a Kabul, quando siamo fuggiti e abbiamo abbandonato ai terroristi Talebani un’ambasciata da un miliardo di dollari, un’enorme base aerea ristrutturata, migliaia di amici e decine di miliardi di dollari in materiale militare…”.

La convivenza civile

Hanson menziona poi “il crollo delle norme di base essenziali per la vita civile”, ad esempio passeggiare al Cairo sembra “più sicuro di un viaggio in metropolitana fuori orario o di un’uscita al tramonto in molte delle principali città americane”, e “le strade della Londra medievale erano probabilmente più pulite di Market Street a San Francisco“. E se questo non basta, “la parola era più libera nell’America degli anni ‘20 di quanto non lo sia adesso”. Bel quadretto, vero? Ma è solo l’incipit del cahier de doléances hansoniano.

California: il preambolo

Cominciamo dalla California, che è sempre stata “un preambolo per il futuro dell’America”, tanto che il suo presente, scrive Hanson, è probabilmente il domani dell’intero Paese – se non di tutto l’Occidente, potremmo aggiungere noi.

Ebbene, “qui ogni estate ci aspettiamo impotenti incendi boschivi”, ammette VDH, californiano doc. Milioni di acri di fiamme riversano nei cieli altri milioni di tonnellate di fumo, carbonio e fuliggine. Decine di milioni di odiati motori a combustione non possono eguagliare i danni provocati da quella catastrofe all’aria che si respira. Lo Stato pensa di cavarsela dicendo che gli incendi sono inevitabili e naturali.

Pertanto le vecchie strategie di gestione forestale e antincendio, affinate nel corso dei secoli, sono messe al bando perché giudicate obsolete dagli “esperti del verde”.

Ciò che ci è stato lasciato in eredità dalle generazioni precedenti – magnifici acquedotti, belle autostrade, superbi aeroporti, fantastiche scuole e università, bacini idrici perfettamente progettati e arditi centri con i loro maestosi grattacieli – nella California di oggi, con una popolazione quasi raddoppiata rispetto agli anni ’80 del secolo scorso, sono congelati a tempo indeterminato o in decomposizione.

La decrepitezza ricorda i fori erbosi e le fontane soffocate delle città romane dell’era vandalica, che è ciò che accade quando una successiva generazione parassitaria si fa beffe di ciò che eredita, consumandolo senza tuttavia essere in grado di ricrearlo. […] E le nostre strade urbane puzzano di feci. Sembrano tutte testimonianze della nostra incompetenza, arroganza e ignoranza. Abbiamo orrore dell’idea stessa dei senzatetto, quindi cediamo ai senzatetto i nostri centri ed evitiamo quel che ne consegue.

Università woke

E cosa ne è stato delle grandi università californiane, un tempo tra le più prestigiose del mondo, da Berkeley e Stanford a UCLA e USC? Semplicemente, ammette a denti stretti il professore, pullulano di “commissari” (quelle figure tipiche del regime comunista sovietico che imperversavano ovunque in Russia ai tempi dell’Urss), i loro corpi docenti, per lo più sovraffollati, si sono “militarizzati” per il trionfo della causa dell’ideologia woke, e i loro studenti non sono mai stati più ignoranti e nel contempo presuntuosi.

“Un ritorno ai programmi di studio e agli standard di valutazione di soli trent’anni fa comporterebbe bocciature di massa”. Insomma, siamo di fronte all’erosione della meritocrazia e della competenza. Ed “ecco perché i nostri ponti impiegano decenni per essere costruiti invece che pochi anni, perché i binari del treno non vengono posati dopo un decennio di pianificazione”, ecc., ecc.

Istituzioni canaglia: l’FBI

Contemporaneamente, prosegue VDH, abbiamo “istituzioni che sono diventate canaglia”, come l’FBI, che “è diventato un servizio di recupero e investigazione da Terzo Mondo per il Partito Democratico”, con i suoi ultimi quattro direttori che hanno mentito e ingannato, oppure si sono trincerati dietro ai “non ricordo”, mentre erano sotto giuramento.

Nel 2016, il Bureau e il Comitato Nazionale Democratico hanno cercato di distruggere l’integrità di un’elezione fabbricando la bufala della collusione con la Russia.

Tutta la storia, fino al suo insabbiamento finale, ha visto gli agenti e gli avvocati dell’FBI alterare documenti legali, mentire sotto giuramento, distruggere i dati telefonici citati in giudizio e delegare la soppressione illegale dei diritti sanciti dal Primo Emendamento (che include la libertà di parola) agli “appaltatori” della Silicon Valley (cioè Google, Facebook, Twitter, Apple e Amazon).

“Mr 10 per cento”

“Ed ora”, chiosa Hanson, “la nazione teme che non ci sia nulla che l’FBI potrebbe non fare”. Non solo, “man mano che siamo diventati iperlegali con Trump, siamo più sublegali con l’intera famiglia Biden”.

Quest’ultima, per un decennio, si è rimpinzata con i profitti multimilionari della ditta “Big Guy”, aka “Mr. 10 per cento”, che altri non è se non Joe Biden: denaro per la maggior parte nascosto ed entrate probabilmente non completamente tassate. “Sappiamo tutti che è vero, e sappiamo tutti che l’FBI e il Dipartimento di Giustizia sanno che è vero, e sappiamo inoltre che la verità non significa nulla”.

Le elezioni

Aggiungiamo alla lista la distruzione di un giorno un tempo considerato sacro: quello delle elezioni. “Non molto tempo fa il 70-80 per cento dell’elettorato si prendeva la briga di votare secondo protocolli trasparenti,” spiega Hanson, ma abbiamo pensato bene di sostituire quel rituale con un altro, che prevede nella maggior parte degli Stati che il 60-70 percento dei voti sfugga a tutti i controlli.

La classe media

E che dire della disfatta della classe media, un tempo spina dorsale della nazione baluardo della democrazia? Si sta riducendo e impoverendo sempre di più, e la società si sta biforcando: “una minuscola e potente minoranza ha più influenza di qualsiasi altra élite nella storia della civiltà”, mentre una grande sottoclasse di poveri che vivono di sussidi pubblici condivide con i ricconi il disprezzo per la classe media in difficoltà.

È di fatto “un nuovo medievalismo”. Al posto delle penitenze e dei giuramenti cavallereschi, nota il professore, l’élite prende voti tipo “combattere il cambiamento climatico” o sostenere la “transizione” e garantire “diversità, equità e inclusione”, ma come i loro fratelli medievali, lo fanno solo migliorando, non mettendo in pericolo, la propria posizione di dominio.

L’immigrazione illegale

Ma andiamo avanti con i paragoni storici:

L’America sta rapidamente assomigliando a qualcosa come la Roma spalancata” del V secolo d.C., quando i suoi tradizionali confini settentrionali inviolabili sui fiumi Reno e Danubio svanirono. Migliaia di tribù non assimilate si incrociavano a loro piacimento sulla base del presupposto che nessuno tra i loro ospiti troppo maturi e molli poteva o avrebbe osato fermarli.

Ciò, naturalmente, è la conseguenza delle politiche nefaste di Joe Biden in tema di immigrazione illegale, con probabile attraversamento del confine da parte di oltre 5 milioni di clandestini dal giorno dell’insediamento ad oggi. Cosa che, tra l’altro, procura al presidente il disprezzo sia di chi cerca di far rispettare il confine sia quello di chi lo attraversa illegalmente.

E così l’America si sta avvicinando al dato storico di 50 milioni di residenti non nati negli Stati Uniti

In un mondo sano, potremmo sopravvivere alla sfida: se i nuovi arrivati fossero tutti venuti legalmente, se avessero imparato i costumi e la lingua della loro nuova e agognata casa, se fossero stati controllati e messi in coda da un logico processo meritocratico e fossero rapidamente assimilati e integrati da una popolazione ospitante fiduciosa, certa che chiunque aspiri vivere in America sia anche sinceramente desideroso di aiuto per diventare americano e di conseguenza provi gratitudine per il popolo ospitante.

Ma, appunto, così non è. E la conseguenza è solo e sempre il caos. Per questo, tra l’altro:

L’idea di 330 milioni di cittadini americani di diverse razze ed etnie uniti da una comune identità americana di valori, costumi e tradizioni condivisi è quasi derisa. Al suo posto sta sorgendo qualcosa come l’ex Jugoslavia, un miscuglio indefinito di interessi tribali in competizione e sempre più ostili, con i residenti che si suddividono in Stati rossi e blu che alla fine porteranno a due Americhe antitetiche.

La proprietà

Hanson accenna infine al tema crimini contro il patrimonio, l’ennesimo tassello di un mosaico desolante, con tassi da far accapponare la pelle. Del resto cosa ci si può aspettare quando gli stessi procuratori distrettuali sono attivisti militarizzati e i sindaci fanno i moralisti e mandano ai criminali segnali inequivocabili di tolleranza, sostenendo che i crimini contro la proprietà non richiedono l’arresto, tanto meno la condanna, e tanto meno l’incarcerazione?

Insomma, quell’America che un tempo era notoriamente legalista “è diventata una vera e propria terra di ladri”.

Il redde rationem

La conclusione di Victor Davis Hanson è tristissima:

Abbiamo assistito a molte rivoluzioni culturali in questo Paese, ma mai ad una così singolarmente focalizzata sul radere al suolo le fondamenta dell’America – almeno fino ad ora. Sì, c’è molta rovina nelle grandi nazioni. Ma anche l’America ormai sta finendo.

La speranza è che denunce tanto lucide e ben documentate quanto appassionate e in certa misura strazianti, come appunto quella di uno dei maggiori intellettuali americani, servano a scuotere un’opinione pubblica per lo più dormiente e distratta dal piccolo cabotaggio della vita quotidiana.

Purtroppo, infatti, non è più tempo di distrazione e neppure di ottimismo a buon mercato. L’Armageddon del Free Speech in atto tra Elon Musk e i suoi sostenitori da una parte e le sinistre di tutto il mondo dall’altra insegna che è arrivato il tempo del redde rationem.

Per gli Stati Uniti, e quindi per il mondo. Perché se cade l’America cade il mondo. O almeno l’Occidente, ammesso che non siano in qualche modo la stessa cosa.

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